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Latina. Napolitano no. Lo scivolone voluto e ingiustificabile di Paolo Mieli. Domenico Cambareri: «Elogi senza radici. Questa è fantapolitica»

Quello di Paolo Mieli su Corsera di ieri, è stato più che piaggeria. Un ingiustificabile, imperdonabile scivolone. Dettato da condizioni di esaltazione scriteriata (ma perché?) più che di elogio e da valutazioni con i se e il se - in se e per se - così gigantesco, fantasmagorico, felliniano da risultare al di fuori da ogni possibilità di recezione alla luce di una coscienza critica pur ovattata . L’impossibile “possibile” non possibile. E non tanto perché la storia non si fa con i tanti se e/o con un gigantesco, negromantico se. La cosa mi ha lasciato del tutto meravigliato, disorientato, tanto da congetturare intorno a fantastiche regie e ad oscuri connubi e a nuovi torbidi della politica. Mi ha meravigliato, perché inaspettatamente un giornalista e uno studioso accreditato di serietà di carattere e di intenti, e così da me sempre reputato, in maniera del tutto imprevedibile ha rivelato altre doti che poco si confanno con quelle della certosina aderenza ai principi del paziente lavoro di studio dei fondi d’archivio e dei documenti. Paolo Mieli ieri ha brillato nella qualità di saggista della fantapolitica e della fantastoria. La mistica ebraica, fra le più ricche e le più mirabili per fantasia o “potenza imaginale” dello spirito, ha da che invidiargli. Altro che senso ardito ma radicato nella coerenza degli accostamenti, delle comparazioni, delle ipotetiche virtualità germinative in riferimento ad un oggetto sui generis, rispetto a quello specifico del contesto storico - quello comunista italiano -, campo assolutamente vaccinato, totalmente bonificato e sterile, inattaccabile rispetto a qualsiasi evetualità di ricezione di influssi o, nel gergo di taluni di oggi, di “contaminazione”! Paolo Mieli con i suoi se ha sragionato intorno a ciò che si è manifestato di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno, per interi decenni, per due lunghissime generazioni, improponibile in quanto irrealizzabile, cioè antiteco ad ogni pur minima aderenza con il reale. Non è mio costume scrivere note polemiche di aperto dissenso verso il pensiero di altri, ma Mieli mi ha proprio strappato queste parole, con il rammarico, profondo, e il non meno profondo spaesamento che mi ha provocato. Il suo, sulla socialdemocrazia dei miglioristi-buonisti del PCI, in primis Amendola e Napoletano, è un vero scivolone “voluto”, ingiustificabile, e un tradimento allo stile, alla serietà, all’aderenza alla concretezza, alla credibilità della sua persona. Paolo Mieli ci ha raccontato la storia dell’ipotetica vita sull’altra faccia della luna. Buon per tutti, certo non proprio. Forse, solo per lo smielamento dei comunisti-diessini? Ma per quale ragione tanta fretta e tanta indecorosa analisi per l’intelligenza al mattatoio? E’ da chiedere a Mieli soltanto quale fine hanno fatto, nel gioco dell’”in”virtuale, i socialdemocratici italiani. E dove oggi essi stanno schierati. Onore sì al ruolo svolto dal “volto presentabile”, da Napoletano, all’interno del PCI, entro i limiti non esorbitanti dettati dalla realtà della storia e dalle possibilità “realistiche” entro cui discorrere, e su cui il suo maestro Renzo De Felice oggi avrebbe ben di che ridire. Tutto il resto è purtroppo brutta frittata. Come lo è l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Unica cosa positiva, finora, è la costituzione del gruppo unico dei parlamentari della Margherita e dei DS. Ma siamo ancora nell’atrio. Bisogna aspettare la nascita effettiva del Partito Democratico. Solo ragionando così, in termini di progressivo avanzamento nella strada del processo unitario e di trasformazione, si poteva evitare di dare conclusione al compromesso storico, anzi di seppellirlo definitivamente. Ma il fatto è che ai comunisti DS (per fato e non per volontà o conversione) piace sempre mettere i carri davanti ai buoi. E basta guardare l’intelligenza bovina dei loro alleati, per capire che costoro gli consentono, scriteriatamente, tutto. Laddove, invece, l’agognato scranno del Quirinale avrebbe potuto toccare non ad un comunista-diessino, ma a un esponente diessino del futuro Partito Democratico. Le cose, stando così, con la coerenza della storia e della politica e, soprattutto, con la “certificazione” della definitiva svolta comunista-diessina in seno ad una democrazia liberale, avrebbero più correttamente imposto altra strada, altro tempo. Altra credibilità, futuro settennato. E il raccordo con gli storici e ancora esistenti socialdemocratici, e non con quelli che vivono sull’altra faccia della luna. Realisticamente, dunque, Paolo Mieli avrebbe potuto lasciare lo stesso titolo al suo editoriale: “Due sinistre al Quirinale” Ma con il contenuto che abbiamo qui appena intravisto. Perché la possibilità non la si disancora dalla realtà e dalla storia, Né tanto meno esse si cancellano o si lavano in lavatrice. Neanche per il Gromiko italiano. Detto questo, fermo ancora rimane l’atto di lealtà dovuta e di stima non meno dovuta - come simbolico e anticipato credito - al nuovo Capo dello Stato. Ben venga quindi il Presidente Napoletano, per una storia che non consenta sconti a nessuno. Ad iniziare dal suo partito e dal suo passato.

Domenico Cambareri


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