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Latina. Il codice da Vinci. Rita Calicchia la pensa più o meno come noi: «Dan Brown ha scritto "solo" un romanzo. E questo è "solo" un film»

Caro direttore, avevo assunto con me stessa (e con i miei amici) l’impegno di non lasciarmi coinvolgere da questo bailamme su “Il Codice da Vinci”. Infrango la promessa perché davvero è dura assistere (e leggere) a tanta esercitazione demagogica e a tanto sfoggio di pseudo-cultura filosofica o scientifica, con tanto di sconfinamento nel diritto canonico (senza contare le tentazioni anche qui di tirare in ballo la politica col dilemma: Dan Brown è di destra o di sinistra?) o in complicate teorie teologiche. Rabbrividisco leggendo certi sermoni che sembrano voler ignorare che a chiare note sul libro c’è scritto “ROMANZO”. Il fatto poi che il racconto sia scritto in modo da “sembrare vero” (anche attraverso tracce “apparentemente veritiere” lasciate qua e là nel racconto…) è semmai considerazione che attiene alla capacità dello scrittore di trascinare il lettore nella trama del thriller (capacità indubbia, credo, altrimenti non ci si spiegherebbe perché milioni di persone si sono appassionate a quel libro…: ma c’è chi infine è riuscito a mettere in dubbio anche le doti letterarie di Brown). Rabbrividisco, anche, leggendo di libri bruciati in piazza (iniziative che rievocano ricordi terrificanti) o di inviti più o meno palesi a disertare le sale dei cinema (cos’è? Un nuovo proibizionismo?). Trovo sia un errore strategico anche il tentativo in atto da parte della Chiesa (non tutta fortunatamente) di boicottare il film: la formazione delle coscienze avviene attraverso la conoscenza, non attraverso l’oscuramento dei fatti (sono errori già compiuti dalla storia: basti guardare alle foibe, pagine vergognosamente strappate per decenni dalle pagine dei nostri libri di storia). Insomma, trovo tutto un po’ ridicolo o comunque esageratamente enfatizzato (quando Ivan Simeone precisa, sul tuo giornale, che nell’Opus Dei “non esistono monaci, ma laici e sacerdoti secolari”, conferma indirettamente che non c’è alcun tentativo di far passare come verità storica i capitoli del “Il Codice da Vinci”). Qualche giorno fa ragionavo con amico prete, che concordava con me sulla considerazione di come proprio la Chiesa abbia fatto e continui a fare (più o meno inconsapevolmente) da enorme cassa di risonanza al film. Insomma si è detto e scritto troppo. Davvero a dismisura. Caro direttore: Il Codice da Vinci è un film. Una storia tratta da un romanzo. Dunque frutto del lavoro di tanta gente. In quanto tale una cosa seria. Non vera. Ma serissima. Che può indurre alcuni a girare pagina e dimenticarsene tre secondi dopo l’uscita dal cinema. Altri (ma ritengo pochissimi, rispettosa come sono del prossimo e della intelligenza altrui) a convincersi che altre prelature della Chiesa siano in realtà capitanate da monaci (?)assassini che portano il cilicio e sono disposti a tutto. Altri ancora (ritengo, la maggioranza) a confrontarsi e ad approfondire. L’insidia vera che tutta questa storia cela è quella di nuove divisioni in nome della religione. E la storia ha già dimostrato quanto siano pericolose.

Mauro Cascio


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