Parvapolis >> Cultura
Latina. La polemica. Antonio Pennacchi su Limes: «Lo sceneggiato sull'Agro è stata una bufala? Evidentemente una Mostra ha fatto scuola...»
C’è uno sceneggiato, Questa è la mia terra, che è andato da poco in onda su Canale 5. Sei puntate reclamizzatissime. Doveva essere – almeno così ci avevano detto – un grande affresco epico-storico sulla bonifica delle Paludi Pontine, coi coloni che venivano dal Nord, gli scontri e le contraddizioni con le popolazioni locali, la questione degli espropri e divisione delle terre eccetera eccetera. Uno si aspettava magari, visti i tempi e dopo cinque anni di governo, un taglio leggermente apologetico; però questi i soldi ce li avevano – e all’americana: produzione, postproduzione, Canale 5 – e quindi uno si aspettava un buon prodotto. Invece è solo leghista, non è fascio – anzi, al fascio gli dà pure un po’ giù, lo fa maneggione, corrotto – però è una boiata pazzesca.
Nel romanzo storico difatti il plot – ovverosia la storiella con l'intreccio dei fatti e dei personaggi – non è che un pretesto per raccontare il contesto. È lui – lo spirito del tempo – quello che conta: il modo di sentire gli ambienti, i luoghi, le cose, gli avvenimenti e le emozioni specifiche di quel periodo. La storiella con l’intreccio – amori, disamori, delitti, tradimenti, furti, rabbie – dev'essere anch’essa finalizzata a rappresentare il tutto. Ora però si dà il caso che il luogo principe in cui ruoti e si svolga l’azione di questo sceneggiato sia un certo podere Onc n. 131 di colore giallo e con la scala esterna. In realtà quasi tutti i poderi costruiti dall’Onc in Agro Pontino – e fra questi sicuramente il podere 131 “vero”, che stava alle porte di Latina-Littoria, sulla strada Torrenuova, tra il Piccarello e Santa Fecitola – erano celesti, altro che gialli. E nessuno aveva la scala esterna. Dice: "Vabbe', ma sono fesserie". No, non sono fesserie: tu hai falsato d’abord il colore e le forme dell'Agro Pontino. È la prima volta – e con un sacco di soldi – che si fa in Italia un film sulla bonifica e colonizzazione delle paludi e tu che fai? Sbagli i colori e le forme? Complimenti. Dice: “Ma sai, forse hanno avuto difficoltà di documentazione”. Ahò, e mica stavano a fa’ un film su Assurbanipal. È stato solo sessant’anni fa.
Ma non basta: su tutti gli sfondi e gli scenari imperano stagni ed eucalypti giganteschi che invece, poverelli, erano stati appena piantati; anzi, nel 1933 – l’anno di riferimento della puntata che ho visto – ancora manco li avevano proprio messi a dimora. Su tutti i cigli di strade poi, o di canali, imperano rovi, cespugli ed erbaggi altissimi: natura lussureggiante non contrastata dall'uomo. Ora si dà il caso che tutti i fossi e cigli di strade venissero rasati a zero – e me lo ricordo bene perché ero già ragazzo fatto – fino a tutti gli anni Sessanta. Quello era un obbligo contrattuale rigidamente imposto dall'Onc a tutti i confinanti: se non falciavi ti menavano (ahò: quelli erano fasci veri, mica come a Latina adesso. Che pare dappertutto una giungla).
Insomma questi si sono messi a raccontare una storia di bonifica – e soprattutto colonizzazione – ambientandola però in palude. Un ossimoro. La vegetazione qui era lussureggiante prima della bonifica, quando ancora imperavano gli stagni, le canne e la palude. Ma la bonifica fa tabula rasa: spianta, prosciuga e spiana tutto. Tu non vedevi più niente, neanche un albero all'orizzonte, solo terra arata e, ogni tanto, questi casolari nuovi (che però Canale 5 ritrae vecchi, con gli intonaci scrostati, le tinte scolorite, gli infissi e i vetri rotti; quando invece era tutta roba nuova, che odorava di fresco, appena uscita di fabbrica o di cantiere). Non c'era un verde – in senso di colore – solo il marrone delle zolle rivoltate, ed il celeste dei poderi. E poi queste piantine d'eucalypto e pino marittimo alte pochi centimetri, tutte in fila sui fossi e sulle strade. Era Terra nuova appunto – proprio come il titolo del libro di Corrado Alvaro – terra vergine appena violentata dall'uomo. Questi invece l'hanno ritratta come una volgarissima terra antica e decadente, lussureggiante di fronde e di rovi: un altro paesaggio insomma. Anzi, il paesaggio opposto. È come se – invece che tra le nevi della Siberia – tu il Dottor Živago lo andassi a girare a Kansas City.
Ma l'intreccio è, storiograficamente, pure peggio: due maschi autoctono-laziali, due lepini – il figlio d’un possidente e quello d’un fattore – che si contendono una colona veneta. Una bestialità, cioè. La politica dei matrimoni misti difatti si svolse esattamente in senso opposto: erano i veneti che sposavano le femmine dei lepini, e non il contrario, proprio perché erano loro l’etnia conquistatrice e non la vittima del processo in atto . Sono loro che si pigliano le terre, e quindi si pigliano anche le donne, perché è sempre stato così da che mondo è mondo, e le pulsioni imperialistiche d’ogni comunità si giocano tutte a partire proprio dalla politica dei matrimoni, come insegna tutta la letteratura etno-antropologica. Ora è vero che dietro a questo film – e a questi soldi – ci stava probabilmente la Lega (è difatti un po’ di tempo che calano ogni tanto in Agro Pontino per tentare di fregare ai fasci la bonifica) e quindi bisognava far vedere i veneti che non solo vengono giù a portare la civiltà, ma che per contraccambio vengono presi a calci nelle palle, maltrattati e schiavizzati dai locali. Però è falso. È come – pure qui – se tu in un film western ci mettessi, all’improvviso, gli Apaches ed i Sioux che, col consenso e il giubilo dei bianchi, si contendono fra loro, sottraendole ai bianchi, le femmine dei bianchi stessi. Ma sai a uno sceneggiatore così, le botte che gli danno a Hollywood?
È vero, però, che non è neanche tutta colpa loro. Certo, tu sicuramente forse non sai scrivere un film o non ti sai documentare. Però è anche vero che – se tu avessi voluto farlo – ti saresti dovuto raccomandare l’anima a Dio prima di trovare i libri giusti. Adesso è uscito difatti – a spese della provincia di Latina, assessorato alla cultura, 87mila euro – un libro-catalogo sulle città di fondazione che doveva essere, secondo loro, la summa più aggiornata di tutto quello che si sa sull’intero fenomeno (la relativa mostra, da Latina, l’hanno già portata anche a Cagliari e, con la benedizione del Niaf, pare che andrà pure a New York). Alcune perle di questo lavoro le abbiamo già viste nel numero precedente , ma erano riferite allo stretto specifico sabaudiese. Nel saggio invece dedicato più espressamente alla bonifica e colonizzazione delle Paludi Pontine , oltre a un sacco di varie lacune o amenità viene scritto: “La prima fase dei lavori, proprio a causa della grande depressione altimetrica che caratterizza il territorio pontino, riguardò la bonifica idraulica, convogliando le acque di natura torrentizia e quelle di sorgente del bacino montano nel canale Mussolini” . Ora, naturalmente, anche chi non ha mai sostenuto un esame di geografia all’università – anzi, anche chi proprio non ne ha mai avuta alcunissima conoscenza – sa che con “grande depressione altimetrica” si intende normalmente, in tutto il mondo conosciuto, un qualcosa che stia almeno nell’ordine dei 135 metri sotto il livello del mare della Depressione Qattarica nell’Egitto Nord-occidentale, se non proprio dei 395 del Mar Morto. Queste sono le cifre delle “grandi depressioni”. Già i 6 o 7 metri dello Zuiderzee difatti, in Olanda, non sono più una “grande” bensì piccola depressione, e questo lo vede pure un bambino, perché rispetto a quei numeri – quelli del Qattara o del mar Morto – questi dell’Olanda fanno ridere. Il lettore però – dalle frasi suddette che legge nel libro – è giustamente indotto a ritenere che l’impaludamento dell’intera regione pontina fosse quindi dovuto proprio a quella grande depressione altimetrica: “E a che altro, sennò?”. E la stessa opinione deve avere evidentemente avuto anche chi le ha scritte quelle frasi, ovvero proprio colui che risulta essere il deus ex machina dell’intera mostra-catalogo (il curatore ufficiale in realtà sarebbe un altro , che fa il professore di storia dell’arte e l’assessore alla cultura An a Cagliari, ma la “Nota di Lettura” a pagina 11 rivela senza alcuna esitazione, anzi con orgoglio e fierezza, non solo che il catalogo è “un’opera preziosa” frutto di “un attento paziente e lungo lavoro di ricerca” che contiene “migliaia di informazioni” “rielaborate con grande rigore” , ma che soprattutto “l’ha pensata XY”, il quale “è riuscito a mettere insieme un gruppo di studiosi di valore [e] ne ha coordinato i lavori con sapiente equilibrio” . È tutta roba sua. È lui l’alfa e l’omega. Dice: “Vabbe’, ma perché non ne metti il nome?”. Essì, mo’ gli do pure la soddisfazione di tramandare il nome ai posteri. Ma manco se si spara).
Questo signore non è uno storico patentato. Pare sia laureato in legge a Camerino e, da quando l’ho conosciuto io, traffica in roba d’arte – quadri, modernariato, antiquariato, foto e cartoline d’epoca, fotografie del Duce – e fa l’editore locale: libri quasi solo di figure, Mussolini, Latina-Littoria; questa roba qua. Però è il responsabile – o qualcosa del genere – del cosiddetto Centro di documentazione sulle bonifiche dell’Agro Pontino, sostenuto dalla regione Lazio presso il Consorzio di Bonifica di Latina. Ora, se lui avesse chiesto lumi a qualche operaio del suddetto Consorzio di bonifica – di cui è quindi e purtroppo non già avvocato come vorrebbero i suoi studi, bensì storico ufficiale – l’operaio gli avrebbe detto che la massima depressione altimetrica, in tutto l’Agro Pontino, non raggiunge i 2 metri e mezzo sotto il livello del mare. Ma non solo: gli avrebbe anche detto che queste piccole depressioni altimetriche non sono neanche così numerose come crede lui. Esse sono limitate solo ed esclusivamente ad alcuni pantani costieri – poi sottoposti a colmata – e soprattutto al Quartaccio di Pontinia, sulla sinistra del fiume Sisto. Questa parte di territorio però – a sinistra del fiume Sisto – era già stata sottoposta a bonifica ben prima dell’avvento del fascismo; tanto è vero che l’impianto idrovoro di Forcellata , con funzionamento a vapore, risale al 1907, quando Mussolini era ancora rosso, socialista e mangiapreti. E pure questo – Forcellata 1907, non Mussolini socialista – qualunque operaio del Consorzio glielo avrebbe potuto spiegare benissimo. Questa porzione di territorio, inoltre, non costituisce l’interezza delle Paludi Pontine, anzi ne è piccola parte, e l’intervento gigantesco del fascismo alla fine degli anni Venti si sostanzia al contrario, soprattutto, dalla parte opposta, ovvero nelle paludi cosiddette di Piscinara, poste alla destra del fiume Sisto. Ed è qui, a Piscinara, che verrà difatti costruita Littoria. Però si dà il caso che in questa Piscinara non ci sia un solo metroquadro di terra posto sotto il livello del mare. Il canale Mussolini viene scavato proprio per raccogliere le acque che arrivano extra-palude: dai Colli Albani molto più che dai Lepini. E sono acque “alte”, non “basse”, che allagano le Pontine non già perché ci sia depressione altimetrica – né piccola né grande, essendo la quota media tra gli 11 e i 17 metri sopra il livello del mare – ma perché la sezione trasversale Nordest-Sudovest (Monti Lepini-Foceverde) delle terre di Piscinara e dell’Agro Pontino ha andamento sinusoidale. Ovvero c’è anche pendenza e declivio generale verso la linea di costa ma, a un certo punto, lo scolo delle acque a mare viene ostacolato dall’ergersi subitaneo di una cosiddetta duna quaternaria che ne impedisce il deflusso per via diretta e trasversale (per cui lo scavo del Rio Martino, a tagliare la duna, già da parte degli antichi ) non potendo purtroppo le acque, per legge naturale, risalire da sole quella pur piccola innalzatura. Resterebbe a queste acque come unica alternativa per un deflusso naturale, il piano di scorrimento longitudinale Nordovest-Sudest (ovvero la linea media di compluvio del sistema Ninfa-Sisto, ex Fosso di Cisterna o Fiume Antico) verso Terracina. Anch’esso è un piano inclinato, seppure leggermente, ma la sua lunghezza – oltre 40 chilometri – rende inadeguato e insufficiente un dislivello, da Latina-Chiesuola al mare di Terracina, di soli 11 o 13 metri. Manca l’abbrivio. Si perde velocità. Ed è per questo che l’acqua ristagna. Ed è tutta acqua torbida, poiché viene dai suoli tufacei dei Colli Albani: prende lì la terra quando la corrente è veloce e la porta qua. Poi, quando rallenta, la terra si deposita, si accumulano i sedimenti, le ostruzioni, e Piscinara s’allaga e si impaluda. Questo quadro – e può sembrare strano – non c’è voluto il Novecento od il fascismo per capirlo. Questo quadro è già fatto chiaro – in questi esatti termini – da Sani e Bolognini nel 1759 . Ed è per questo che i moderni scavano il canale Mussolini : per raccogliere tutte le acque che provengono da fuori – extra-palude – tagliare la duna quaternaria e portarle a mare per via diretta, secondo la trasversale Nordovest-Sudest, ossia Monti Lepini-Foceverde. Le depressioni non c’entrano niente, siano esse “grandi” o “piccoline”. Quelle sono solo una questione secondaria. Però questo è il livello di competenza del presunto storico del Consorzio di bonifica e, giustamente, l’assessore provinciale An alla cultura di Latina gli ha dato 87mila euro per fare il regesto scientifico di tutte le città di fondazione italiane, ovvero la Bibbia che deve spiegare all’universo mondo come sono andate per davvero le cose dappertutto: uno che non ha idea di come sono andate a casa sua, uno che non ha idea di cosa voglia dire “geografia fisica” e di come sia fatto il terreno su cui mette tutti i giorni i piedi. Quello davvero è convinto che l’Agro Pontino sta sotto il livello del mare (e di parecchio pure). Tu pensa, se è così, che cosa può avere fatto a casa degli altri
Antonio Pennacchi
|