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Latina. La polemica. Antonio Pennacchi: «Sulla Mostra sulle città nuove ci fu un muro di gomma. Le nostre indignate proteste passarono sotto silenzio. Tutti le testate locali tacquero. Inclusa ParvapoliS»

Dice: “Vabbe’, ma perché ti ci accanisci tanto? Lascialo stare questo poverello, lascialo alle sue depressioni altimetriche o meno. Che te ne frega a te?”. Eh no, poverello un cacchio. Questo m’ha buttato all’aria quindici anni di ricerche – migliaia di chilometri su e giù per tutta Italia – perché era pure amico mio mannaggia a me. Questo non sapeva manco che esistessero tutte queste “città” del Duce. Conosceva quelle dell’Agro Pontino e aveva – sì e no – sentito lontanamente parlare di qualcun’altra in Sardegna (del resto anche tutta la letteratura specifica , fino a poco tempo fa , ne considerava in tutto 12). Quando gli feci vedere la prima volta, le prime foto di Segezia – che lui non sapeva nemmeno, ripeto, dov’era e cos’era – proponendogli di farci un libro, rispose: “Ma che vuoi che gliene freghi alla gente di Segezia, alla gente interessa Littoria”. E così per i Borghi di Sicilia. Io all’epoca, avendo già accumulato migliaia di foto e materiali di tutti i siti, andavo proponendo di continuo – ma senza tanti risultati – al comune di Latina, alle regione Lazio, agli enti e a chiunque incontrassi, di allestire una mostra ed un Atlante/Catalogo che li censisse e documentasse tutti quanti; e quindi pure a lui (faceva l’editore in fin dei conti, sia pure locale). Lui nicchiava. Poi, dai e dai, s’è fatto convinto: “Va bene, lo facciamo, però bisogna trovare chi lo finanzia” e ha portato a casa mia, a visionare i materiali, quell’assessore alla cultura di Cagliari di cui sopra, docente, pare, di storia dell’arte moderna o contemporanea. Mia moglie – ancora me lo rinfaccia – gli ha fatto pure da mangiare e, pure questo, non sapeva manco che esistessero i Borghi di Sicilia e tutta l’altra roba: “Bello!”, faceva, “Bello! La facciamo, la facciamo”. E poi alla fine se la sono fatta loro. Alla faccia mia. Coi soldi dell’assessorato alla cultura della provincia di Latina. 87mila euro. Dice: “Ah, è per questo allora che rosichi”. E rosico sì, vorrei vedere: me l’hanno messa in quel posto. Ma se me l’avessero solo messa in quel posto e basta, me la dovevo tenere e basta – zitto e mosca, non potevo dire niente, mica li potevo denunciare: non c’è reato – te la pigliavi in puel posto e basta, è la legge del menga. In Italia, difatti, se abbandoni un cagnolino per la strada ti sbattono in galera, ma se freghi le idee o le ricerche a qualcheduno non ti dice un cazzo nessuno : “Fesso lui che se le è fatte fregare”. La salvezza mia – e il guaio loro – non è quindi che abbiano copiato, ma che abbiano copiato male. Hanno scritto tante di quelle balordaggini su quel coso – in termini storico-filologici – che solo Dio lo sa. Del rosicamento tuo non gliene può fregare niente a nessuno – anzi, la gente ci ride pure sopra, alle spalle tue – ma delle balordaggini che hanno scritto loro debbono pure rendere conto, in qualche modo, alla comunità scientifica (degli 87mila euro non lo so) . Ne abbiamo contati oltre 107 di questi sfondoni, inesattezze varie, e vere e proprie falsità storico-filologiche. Poi ci siamo stufati di contare. Ci siamo fermati a 107. Ma adesso le stiamo rimettendo tutte in fila. Ci debbo fare un libro apposta, con tutte le bestialità del libro loro. Dice: “Ma che senso ha la vendetta? Lascia che ti passi, non ti rodere, che te ne frega a te?”. Eh no, innanzitutto la vendetta è un disvalore oramai tutto da relativizzare, rispetto almeno a quando te lo mettono in quel posto. Secondo poi, c’è un problema di responsabilità scientifica e sociale, rispetto perlomeno alle generazioni che verranno dopo. Ma tu hai idea se qualcuno – che nessuno magari ha avvisato in tempo – un domani si mette a studiare su quel coso e si crede che è tutto vero? Ma tu hai idea di quello che c’è scritto là sopra? Mica solo Sabaudia e la grande depressione altimetrica. Là ci sono una serie di foto – alla mostra c’era proprio una gigantografia di almeno tre metri – che ti fanno credere che a Fertilia, in Sardegna, davvero ha fatto tutto il Duce. Tu vedi difatti la torre littoria, il municipio, la palazzata di via Pola – quattro edifici di tre piani, coi portici di qua e di là della strada – e sullo sfondo la chiesa e il campanile. Tutto bello, tutto finito. E poiché il titolo di mostra e catalogo è “Città di fondazione… 1928-1942” e sotto quelle foto non c’è nessun’altra o diversa data, tu pensi che davvero quella roba è stata fatta tra 1928 e 1942: “L’ha fatta il Duce”. E invece l’ha fatta Segni, la Dc: il fascio fece solo la chiesa, il comune e la torre littoria. Ma la palazzata e il campanile sono stati costruiti tra 1948 e 1957 . Il campanile non era nemmeno previsto nel progetto: non c’è, difatti, neanche nel plastico d’epoca. Lo vollero per forza i profughi giuliano-dalmati arrivati qua nel 1948. Dice: “Vabbe’, ma quello sta a Latina, che vuoi che ne sapeva?”. Ho capito, ma quell’altro stava a Cagliari, e insegna all’università. Questi inoltre non capiscono la differenza tra nuove fondazioni e processi di espansione o decentramento di vecchie realtà già esistenti da tempo. Per cui un quartiere di Bologna diventa, secondo loro, una città nuova, così come Valdagno, che è piena di palazzi e ville del Settecento. Dice: “Ma sotto il fascio a Valdagno hanno fatto roba nuova di là dal fiume”. E certo, ma pure a Sezze, a Sora, a S. Agata dei Goti e in tutta Italia. Mo’ pure Sora e S. Agata dei Goti le ha fatte il Duce? Per loro sì. Questi dovevano battere il record. Cosa avevamo detto noi? 132 sicure più altre 16 incerte? Per un totale, quindi, di 148 nuove fondazioni in Italia a cavallo degli anni Trenta? Loro dovevano fare di più e hanno fatto 181. Come al flipper. Però, oltre a Valdagno, Villar Perosa, Bologna e un sacco d’altra roba che c’era già da prima che arrivasse il fascio, ce ne hanno messa pure di quella che è arrivata dopo. Ci hanno infilato in mezzo – nella foga di battere a tutti i costi il record e vincere la bambolina – 21 villaggi costruiti in Sicilia negli anni Cinquanta. Costruiti dalla Democrazia cristiana con la riforma agraria. Come Borgo Baccarato per esempio, che tu lo vedi da lontano quando ancora stai in macchina, con tutto quel cemento armato a pressoflessione, che non lo può avere fatto il Duce. Così come Borgo Palo. Ahò, e io ci sono stato: mica possono venire a raccontare le fregnacce a me. E via di questo passo: foto sbagliate, informazioni errate, piani regolatori fasulli. A Aprilia, che è casa loro e stanno tutti i giorni qua, hanno sbagliato il piano regolatore: hanno messo la foto di uno che rimase solo in fase di progetto, al posto di quello vero, dicendo però che era quello vero. Dice. ”Vabbe’, si saranno confusi”. Ma tu ti puoi confondere con la pianta dell’appartamento di un altro, non con quella di casa tua. E manco la forma di casa tua sai riconoscere? Non sai leggere una pianta? E allora che ti ci sei messo a fare lo storico dell’architettura? Non parliamo della carta della Sicilia. Lì davvero, quando ho visto la cartina, mi sono messo a fare i salti dalla gioia dentro casa, che la mia nipotina mi guardava tutta sbigottita: “Kà fato nono?”. La carta della Sicilia è disegnata a casaccio, coi posti messi proprio ad minchiam. Sei buono tu a trovarli, seguendo quella carta: Borgo Riena, Filaga e Borgo Recalmigi stanno a Sud, invece che a Nord di Borgo Gattuso. Filaga sta proprio a 60 km da dove invece dovrebbe stare per davvero. E così tutti gli altri. C’è poi un Borgo Portella della Croce – lì facevo proprio i salti sul soffitto quando l’ho visto – collocato a una trentina di chilometri a Nord di Borgo Màrgana. Ora si dà il caso che Borgo Màrgana e Borgo Portella della Croce siano la stessa cosa: esisteva di fatto da sempre una località Portella della Croce in cui è stato costruito Borgo Màrgana, ma loro di uno hanno fatto due – la moltiplicazione dei pani e dei borghi – e non sapendo più come metterli, li hanno messi giustamente a caso: “Mettémolo là, va’!”. Mo’ giudica tu, se questi taroccamenti sono solo sprovvedutezze, incompetenze o falsificazioni. Poi dice, però, che uno rimpiange i tempi dello Stato pontificio, quando c’era ancora il Papa-re, ed ai falsari come Annio da Viterbo, che aveva scritto una falsa storia della sua città inventando testi letterari e false lapidi che faceva sotterrare e poi scoprire, li bruciavano in piazza sopra il rogo. Certo di distorsioni o vere e proprie falsificazioni ce ne sono parecchie – pur assai sprovvedute anch’esse – e tutte le enumereremo, perché ogni promessa è debito. Ma quello che infine non va qui sottaciuto è il colpevole glissare sulla questione ebraica: la parola “ebreo” non ricorre una sola volta in tutte le 343 pagine di quel catalogo. Dice: “E che c’entra?”. C’entra, c’entra. Sono ebrei – italiani e fascisti, peraltro, almeno fino alle discriminazioni delle leggi razziali – gli imprenditori o i professionisti che progettano e realizzano la quota più consistente delle maggiori città di fondazione in Italia. Aprilia, Pomezia, Fertilia, Segezia, Borgo Appio e Borgo Domitio vengono difatti progettate da Concezio Petrucci e/o Mosè Tufaroli Luciano , che dopo le legge razziali si dovrà fare arianizzare il nome in Mario. Petrucci invece ha la moglie ebrea, Hilde Brat, ed una figlia che dovrà nascondere, mentre il figlio di primo letto della moglie morirà in un campo di sterminio nazista. Arsia e Carbonia poi – e Carbonia è la più grande in assoluto, contando 40mila abitanti già nel 1942, mentre Latina-Littoria ci arriverà solo negli anni Sessanta – si debbono a Guido Segre e Gustavo Pulitzer Finali . Segre – il Cencelli di Arsia e Carbonia – era medaglia d’argento della grande guerra, fascista antemarcia, si dava del tu col Duce, ma viene cacciato nel ’38 e muore di crepacuore nel ’44 in Vaticano con la Gestapo che lo aspetta fuori. Pulitzer Finali invece capisce l’aria e scappa prima in Svizzera e poi in Usa. Ma questi li citano sempre ed abbondantemente – magnificandone le opere e i progetti – senza lasciarsi mai scappare una volta che erano ebrei, e che dopo sono stati trattati in questo modo. Citano pure ripetutamente Pagano – il nume massimo del razionalismo italiano, oltre che progettista di Portoscuso – senza però dire che è morto a Mauthausen. Dice: “Magari non lo sapevano, forse è solo sprovvedutezza, incompetenza”. Sarà, ma i libri che parlano di queste cose li hanno letti, poiché li citano e li inseriscono regolarmente in bibliografia. E tu che fai: metti in bibliografia per caso, o citi, dei libri che non hai mai letto? Non può essere. Questo è un deliberato occultamento della Shoah (in giro per Latina e sopra i forum, pare abbiano detto: “E perché dovevamo mettere che erano ebrei? Noi parlavamo solo di architettura, e di nessuno abbiamo detto che era di Fiesole o di Pescara. Perché dovevamo dirlo degli ebrei?”. Ora si dà il caso che quelli di Fiesole o di Pescara non hanno fatto tutte le città nuove che hanno fatto gli ebrei, e comunque dopo non gli è capitato quello che è capitato agli ebrei: mica gli hanno fatto le leggi antifiesolano o pescaresi. In ogni caso Pulitzer Finali – che dalla letteratura specifica, pure indicata in bibliografia, viene spesso definito “ebreo triestino” – in questo catalogo viene ripetutamente detto solo “triestino”. “Ebreo” salta. Perché “triestino” sì e “ebreo” no? Forse perché “triestino” fa tanto italianità, mentre “ebreo” fa razza inferiore? E’ questa esaltazione della triestinità a fronte della negazione dell’ebraismo, che induce a pensare che non di distratta rimozione si sia trattato, ma di deliberato occultamento). Fatto sta, però, che a Latina non gliene frega niente a nessuno. Noi abbiamo fatto pure un controconvegno a quella mostra – si chiamava proprio “Città nuove e falsi storici”, lo avevano organizzato l’Anonima Scrittori e Amici di Eucalipto, è venuto pure Giorgio Muratore – e queste cose le abbiamo dette, e abbiamo detto pure: “Non la mandiamo almeno a New York”, e c’era un sacco di gente che batteva le mani. Però la stampa locale non ha scritto una riga. Il muro di gomma. Ci hanno occultati pure a noi. E pure i Ds e l’Ulivo. Si fosse alzato uno scemo in consiglio provinciale – e sì che li abbiamo cercati – a chiedere all’assessore: “Ma questi 87mila euro, si può sapere come cavolo li hai spesi? Con quale criterio li hai chiamati quegli sciammannati, li hai tirati a sorte, per caso? Erano amici tuoi? Cìtali per danni adesso, fatti ridare i soldi indietro, oppure cacciali di tasca tua”. Seh, manco una piega. Manco una parola. Ma certo mica sarà stato perché là c’era imbarcato pure qualcuno di sinistra. Di sicuro avranno pensato: “Ma che mi frega a me? Quello è lui che rosica”.

Antonio Pennacchi


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