Venerdì 02/05/2025 
Parvapolis
categorie
Home page
Appuntamenti
Cronaca
Cultura
Economia
Politica
Sport


Parvapolis >> Cultura

Latina. La cultura del dialogo. Antonino Clemente: «Viviamo in una società sempre più cosmopolita. Doveroso diffondere principi di tolleranza»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS con Antonino Clemente, preside dell'Istituto Tecnico Industriale Statale "Galileo Galilei" di Latina, in occasione della tavola rotonda "Dialogo Interculturale nella società globalizzata". La tavola rotonda, organizzata dai docenti dell'Istituto, Emmapia Leonetti e Grazia Maddaloni, ha rappresentato il momento di sintesi del lavoro svolto con gli studenti sulla necessità del dialogo interculturale. Molti gli interventi, tra cui quelli di Giorgio Alessandrini, consigliere Cnel, del sociologo Alessandro La Noce, di Martin Hyu, rappresentante della Fao, dello psicologo Pasquale Mancini, e della rappresentante dell'ambasciata del Kuwait, Fatma Hayat. Una lunga ed approfondita discussione che ha affrontato con completezza e senza ipocrisie quello che - per l'Italia - è ormai un problema non più rimandabile: come ha sottolineato infatti il prof. Clemente nella sua introduzione, nel nostro Paese vivono tre milioni di immigrati e sono rappresentati 91 Paesi stranieri. «Questa iniziativa - spiega Clemente - è nata in quanto nel nostro istituto ospitiamo quattordici ragazzi stranieri, che rappresentano sei nazioni, e precisamente l'Albania, l'India, la Polonia, la Romania, l'Ucraina ed il Marocco. Sono già quattro anni che lavoriamo per l'integrazione didattica ed educativa di questi ragazzi e dopo aver fatto questa esperienza, ed averla sperimentata con un progetto che è stato sostenuto, abbiamo avuto la necessità, e forse anche la buona volontà, di informare, di aprire una finestra all'esterno per far capire quale è stata la nostra esperienza e - se piace - perché possa essere replicata anche in altri istituti. Il problema dell'immigrazione è oggi un problema sentito. Credo che ci siano pochi istituti che non ospitano alunni immigrati, ed è un problema se non viene osservato con la giusta sensibilità, perché la presenza di uno studente immigrato può far sorgere delle domande di ordine didattico: cosa insegnare, come insegnarlo, come porci, che percezione hanno gli operatori della scuola, le famiglie, quando un alunno immigrato frequenta le nostre scuole? Queste domande già pongono l'istituto in un senso critico e quindi, pur nell'assenza e nelle forti ombre - oltre che luci - della legislazione che sostiene questa attività, ci siamo calati cogliendo l'occasione di un corso di formazione organizzato dal ministero cui hanno partecipato due nostre insegnanti, e quindi anche con la loro ricchezza abbiamo intrapreso questo percorso e tutto sommato, visti i risultati, sia dal punto di vista sociale che formativo, ci possiamo ritenere soddisfatti». In base alla sua esperienza, la legislazione in materia è sufficiente? «Secondo me, non esiste, perché quella che c'è non è organica, né strutturale. Noi abbiamo il vecchio decreto del 1925, poi c'è un vuoto, che arriva agli anni 70-80. Da allora abbiamo un'ordinanza e solo delle circolari che nascevano perché il problema dell'immigrazione, negli anni Novanta, iniziava a farsi sentire, era un argomento visibile e presente. Nel 1998 circa c'è stata un'ordinanza per la creazione dei Centri Territoriali Permanenti, l'unica cosa seria, in cui si prestava l'aiuto per l'alfabetizzazione italiana alle famiglie che provenivano da Paesi esteri. Tutto il resto sono circolari. C'è solo un tentativo, adesso, con la Bossi-Fini, una cui parte prevede anche l'integrazione scolastica. L'unica cosa che ci sorregge, ma non è specifica per l'integrazione degli immigrati (è solo per l'assetto scolastico), è il Dpr 275 sull'autonomia scolastica, che ci permette di usare gli strumenti in modo flessibile per intervenire in modo efficace nei confronti di questi alunni. Per il resto, io credo che molto ci sia da fare ancora. Ciò di cui la scuola ha soprattutto bisogno - oltre che delle strutture legislative ad hoc - è soprattutto un laboratorio formativo per l'educazione interculturale per i nostri docenti, che riguardi anche la competenza psicosociale. Un laboratorio che deve essere realizzato in modo tale da avere un centro ove riflettere e sperimentare le nuove metodologie didattiche, dove i docenti potranno acquisire una maggiore padronanza di strumenti scolastici adatti agli studenti stranieri, ed una ulteriore preparazione, come la conoscenza delle diverse culture di appartenenza degli alunni. Dovrebbe essere realizzato in maniera interistituzionale, ed abbracciare tutti gli ordini ed i cicli. I miei docenti sono partiti e sono andati a Roma per formarsi su queste tematiche, frequentando un apposito corso del Ministero». Secondo lei, è più la scuola italiana che deve adeguarsi ai ragazzi immigrati o sono questi ultimi che devono adeguarsi ai nostri programmi scolastici? O si tratta forse di incontrarsi a metà strada? «Deve essere un incontro, perché la scuola italiana, nel momento in cui si è resa conto della presenza di questa nuova popolazione, ha cercato subito di adeguarsi, nella prima fase in modo empirico, e quindi soprattutto da un punto di vista sociale. Nei primi anni Novanta, in particolare nel meridione e nelle isole, dove la presenza incideva meno, è stata soprattutto una integrazione dal punto di vista sociale, mentre al centro ed al settentrione, dove vi era già una maggiore presenza (dal 4 fino al 6%), l'integrazione avveniva già da un punto di vista didattico, in alcuni casi anche con una programmazione personalizzata per il ragazzo. In questo ci hanno aiutato anche i ragazzi, che hanno accettato questa nuova cultura e si sono integrati facilmente, perché l'integrazione dei pari non conosce diversità, il pregiudizio è solo adulto, non riguarda i ragazzi. Si è subito superato anche il problema religioso, che poteva essere un elemento contrastante. Nel nostro Paese, inoltre, soprattutto nelle zone settentrionali, l'immigrazione non è più di passaggio, è diventata stanziale; di conseguenza, spesso noi abbiamo ragazzi di seconda generazione, e si è superato il problema di comunicazione, della lingua. Certo, in alcuni casi c'è, ma con i progetti presentati dai professori, con le nuove tecniche, siamo riusciti a superare questo ostacolo». Molti i temi affrontati nel corso della tavola rotonda, come la sproporzione nella suddivisione delle ricchezze naturali tra il nord ed il sud del pianeta (problema sottolineato dal rappresentante della Fao, che ha sottolineato come molte delle guerre fratricide in atto nelle zone "povere" della Terra sono per il possesso dell'acqua «e parliamo di una cosa che è diritto di tutti»). Per il sociologo La Noce, nella scuola si è iniziato a parlare di interculturalità solo poco tempo fa, ma si è già sulla strada giusta: «La presenza di immigrati è un dato nuovo che pone riflessioni e questo è un periodo difficile per l'Italia da questo punto di vista, ma un dato è certo: le scuole che non affrontano il problema sono destinate ad essere sconfitte».

Andrea Apruzzese

 Riproduci il filmato oppure procedi con il download.

PocketPC visualization by Panservice