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Latina. Doolin Street, elogio dei Grandi Magazzini. Maria Corsetti si scopre liberale: «Il monopolio ci avrebbe rovinato la città»

Nel romanzo “Il paradiso delle signore”, Émile Zola, più di un secolo fa, raccontava di grandi magazzini, di vetrine sontuose, di commesse in divisa scintillante. Una vita parigina che scoppiava tra tessuti e confezioni, offendo alle clienti servizi e soddisfazione. A fronte di questo, la piccola distribuzione moriva. C’era chi chiudeva bottega subito e chi tentava di resistere, distruggendo ogni risparmio per far fronte ad un gigante inarrestabile. Tra le righe si legge un’indiscussa simpatia di Zola per questa società moderna, la sua fiducia nel progresso, il suo lucido ragionamento sui tempi che cambiano. Contrastarli significa arrestare il progresso dell’uomo che, come ogni passo avanti, presenta lati positivi e prezzi da pagare. Soprattutto, però, non si può congelare la storia. L’età di Pericle fu definita d’oro, ma sarebbe stata solo fantascienza rimanere fermi a venticinque secoli fa. Quando ci si scagliò contro l’apertura di centri commerciali a Latina si era indietro di cento anni rispetto a quello che era successo a Parigi. Esterofili e pronti ad accogliere con entusiasmo tutto ciò che ha un sapore esotico, in quel caso si diede una dimostrazione di provincialità. O anche solo di aver letto poco. Le politiche protezioniste si possono fare, ma non possono avere come spiegazione il fatto che la gente va a comprare da un’altra parte perché trova prezzi e servizi migliori. Qualche decennio fa entrare in alcuni dei negozi “blasonati” del centro del capoluogo equivaleva a farsi guardare male se non si lasciavano i centoni. Praticamente si pagava anche il sorriso di titolari e commesse. Cortesia e sconto erano optional extralusso. Se ci si provava ad uscire senza aver acquistato nulla si veniva schedati. Pagare con una carta di credito significava far spuntare la lacrimuccia sul volto del commerciante che – desolato - spiegava che avrebbe preferito i contanti, visto che l’accredito gli sarebbe arrivato qualche giorno dopo, decurtato di una piccola percentuale. Quanto allo scontrino, c’era chi non lo faceva e basta, senza neanche il pudore di chiedere un po’ di complicità al cliente che aveva appena pagato anche l’iva della merce, che il negoziante incassava senza dichiarare. Poi c’è chi ha chiuso, chi ha invaso i centri commerciali con i suoi punti vendita, chi ha puntato sul prodotto di altissima qualità, chi invece sul prodotto di massa. E la città è cambiata. Sulle vetrine ci sono sfilze di loghi di tutte le carte di credito del mondo, non c’è bisogno di chiedere a muso duro lo scontrino e “va bene anche se non compri, ma intanto prova”. La concorrenza dei centri commerciali ha portato il centro della città ad organizzare eventi, i cinema hanno scoperto la multisala, i bar si sono rinnovati, sono spuntati tanti tavolini all’aperto. È stata la concorrenza a fare questo, il monopolio ci avrebbe consegnata una città vecchia e sbiadita, con l’ennesima corsa verso Roma anche solo per comprare una camicetta.

Maria Corsetti


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