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Latina. Sogin in consiglio, cronaca di un caos. Vincenzo Zaccheo sul protocollo: «Lo ritiro. Anzi no. Votatevelo voi». Ma la destra non ha
un suo Ordine del Giorno. La sinistra protesta, si indigna e abbandona l'aula
E alla fine ieri pomeriggio il Consiglio Comunale decise di non decidere, sciogliendosi per mancanza di numero legale, di fronte all'abbandono dell'aula dell'opposizione di centro sinistra, motivato dal fatto che la maggioranza non aveva predisposto un suo ordine del giorno. E su un tema caldo, anzi, scottante, come quello del decommissioning della ex centrale nucleare di Borgo Sabotino. Unica parola comune, utilizzata da tutte le parti politiche è stata "sicurezza". Quella sicurezza su cui tante polemiche - soprattutto politiche - si sono accese in queste settimane tra ordinanze e "protocolli d'intesa" tra il Comune di Latina e la Sogin (Società di gestione degli impianti nucleari).
Il sindaco di Latina, Vincenzo Zaccheo, al termine del suo intervento - una lunga difesa delle proprie azioni in cui, in quasi un'ora, ha ripercorso tre anni di lettere, documenti, contatti, richieste - ha detto «ritiro il protocollo d'intesa, ma lo ritiro per operare ad un livello più alto della Sogin stessa, ovvero a livello di Governo nazionale» (da cui dipende la società che da anni - e per molti altri ancora - si occupa dello smantellamento dell'impianto di Borgo Sabotino). Per cambiare poi orientamento nel corso della replica agli interventi delle parti politiche, affermando: «Non ritiro il protocollo, semplicemente non lo voto; se volete, votatelo voi».
Una storia lunga, quella che parte il 15 ottobre del 2003, quando la Sogin richiede al Comune la concessione edilizia per due capannoni per attività di condizionamento e trattamento dei rifiuti provenienti dallo smantellamento (gli splitter e i fanghi). Un mese dopo il Comune richiede il progetto alla Sogin e nel gennaio 2004 l'Amministrazione incarica il prof. Angelo Caruso (riconosciuto come uno dei massimi esperti nel campo della fissione nucleare) e l'ing. Natale di svolgere studi valutativi del progetto stesso. Studi che vengono consegnati tre mesi dopo. Ed è in gran parte su questi che l'amministrazione Zaccheo si è basata per negare la concessione alla Sogin, oltre al fatto che l'Apat stessa (uno dei principali organi di controllo da cui dipende Sogin) non ha ancora autorizzato la realizzazione del capannone. Gli studi fanno inoltre riferimento alla possibilità di riportare a "prato verde" l'area della centrale, con la rimozione del nocciolo (cosa però impossibile in assenza del deposito nazionale di scorie nucleari). E questo è uno dei punti su cui Zaccheo ha rivendicato la sua azione di questi tre anni per avere garanzie sulla sicurezza di tutto il processo.
Il prof. Caruso dichiara nello studio («regalato alla città», sottolinea il sindaco) che non ci sono particolari rischi nucleari né per la popolazione né per i lavoratori coinvolti fino allo stadio 2 del decommissionig (quello che si ferma di fronte al nocciolo) ma che «le attività fino allo stadio 3, che comportano l'apertura di una grande finestra nello schermo biologico del nocciolo, sono caratterizzate da sostanziali difficoltà tecniche. Sebbene il potenziale di rischio per le popolazioni sia probabilmente modesto anche nel caso del peggiore incidente od attentato ipotizzabile, non è detto che lo stesso si possa dire per i lavoratori impegnati nella manipolazione anche di grandi quantità di materiale radioattivo». Richieste di maggiori approfondimenti da parte di Sogin sono contenute anche nella relazione dell'ing. Natale, che sottolinea come «l'impatto ambientale delle attività di decommissioning è compatibile con la sicurezza della popolazione e del territorio» ma che «nell'eventualità di un decommissioning parziale, una rilevante percentuale della radioattività resterà sul sito, sia pure in condizioni di totale sicurezza. Tale scelta è meno desiderabile rispetto a quella, prevista nei documenti progettuali, di disattivazione totale accelerata con riconduzione a "prato verde" del sito, scelta questa che dipende pregiudizialmente dalla creazione del deposito nazionale per i rifiuti nucleari (non dimentichiamo che - secondo il programma iniziale - il sito sarebbe stato disponibile dal 1 gennaio 2009, data ormai irrealizzabile). In questo caso sarà opportuno che Sogin integri il piano di decommissioning per evidenziare la gestione dei depositi temporanei e del manufatto di contenimento dell'isola nucleare». Ma Natale sottolinea anche nelle sue conclusioni che «fermo restando che gli scenari incidentali ipotizzabili nelle attività di decommissioning comporterebbero danni di modesta entità, si suggerisce una rete di monitoraggio ambientale su possibili rilasci di radioattività durante le attività di disattivazione che sia indipendente da quelle possedute da chi è incaricato del decommissioning e che consenta alle autorità competenti di attivare le necessarie procedure in caso di incidente a tutela della popolazione e del territorio. Sogin inoltre deve tuttora definire molti dei metodi per il trattamento dei rifiuti che resteranno ancora per anni sul territorio comunale».
«Resto esterrefatto - ha proseguito Zaccheo nel suo intervento in Consiglio, di fronte ad una folta rappresentanza di cittadini riunitisi nel Comitato Spontaneo di Borgo Sabotino - di fronte a chi dice che ho perso tre anni di tempo, quando in questi tre anni ho portato avanti - insieme ai sindaci di tutta Italia, ed in particolare con i sindaci dei comuni che hanno ex centrali nucleari - uno strenuo braccio di ferro con Sogin sulle garanzie e la sicurezza dello smantellamento e per avere una forma risarcitoria, fino a far approvare in Parlamento un emendamento in tal senso, in quanto per altri duemila anni avremo radioattività legata alla presenza del nocciolo e dal 1968 ci sono in giacenza gli splitter e i fanghi, ancora non messi in sicurezza. Ho chiesto delle garanzie, non ho perso tempo: forse il tempo l'ha perso chi queste garanzie doveva fornirle». Dopo aver sottolineato di essersi attivato anche per far pagare l'Ici alla Sogin, il primo cittadino ha evidenziato come da nessun documento scaturisca il fatto che Latina dovesse essere il sito definitivo di stoccaggio dei rifiuti, in particolare dopo l'istituzione (il 7 maggio 2004 in Regione Lazio) del tavolo tecnico di trasparenza sul progetto di smantellamento.
Obiezione cui Moscardelli ha prontamente risposto: «Si, ma questo oggi: chi ci assicura che un giorno la Gran Bretagna non ci obblighi (in base agli accordi internazionali) a riprendere le nostre scorie? A quel punto, non avendo pronto il sito definitivo, la soluzione più immediata potrebbe essere rappresentata da uno stoccaggio (non si sa quanto temporaneo) nelle ex centrali».
Il 18 ottobre del 2004 Sogin apre le porte della centrale alla visita che il sindaco ha effettuato con tutto il Consiglio Comunale, i sindacati, Federlazio, Confindustria e le associazioni di categoria. «In quell'occasione abbiamo aperto un discorso, chiedendo a Sogin di coinvolgere nell'opera di dismissione le imprese pontine, con una forte ricaduta economica, di ben 1600 miliardi di vecchie lire».
Un dialogo che ha portato al "famigerato" protocollo d'intesa, la cui bozza - sottolinea Zaccheo - «è stata consegnata in data 21 aprile 2006 a tutti i partiti». Gli eventi hanno poi subito l'accelerazione che tutti conosciamo e che ha portato il Commissario delegato gen. Carlo Jean ad emettere il 4 luglio l'ordinanza che consente a Sogin di erigere il capannone. Ma cosa contiene (o, meglio, conteneva) il protocollo d'intesa? Tre le linee di indirizzo sottolineate da Zaccheo: messa in sicurezza, riqualificazione dell'area, ricaduta economica. Il riferimento è al progetto di portualità integrata dell'ing. Noli, che comprende il pontile della nucleare e l'area demaniale immediatamente a ridosso dello stesso. Sono sì di proprietà demaniale, ma concessi in uso alla Sogin, che si dichiarava disponibile a far sì che il Comune ottenesse il rilascio delle relative concessioni. Il Comune, da parte sua, si impegnava ad agevolare le attività di decommissioning della centrale, e quindi il rilascio delle concessioni edilizie per la realizzazione degli edifici destinati esclusivamente al trattamento dei rifiuti già esistenti presso la centrale, e dietro previa autorizzazione dell'Apat.
I partiti nel corso delle loro dichiarazioni, hanno sottolineato in coro l'esigenza della sicurezza, pur con i necessari distinguo. Per Palmieri (Udc) «prendiamo atto che il sindaco ha ritirato il protocollo, anticipando la nostra richiesta di cancellazione, ma ora mancano le proposte: chiediamo quindi la formulazione di un tavolo tecnico per l'analisi della vicenda». Per Cirilli (An) «le esigenze di sicurezza del territorio superano ogni polemica politica: è ora urgente creare un organismo tecnico altamente qualificato: come Consiglio Comunale vogliamo vedere chiaro nella vicenda, attraverso organismi che siano autonomi, con l'inserimento in pianta stabile dell'Arpa Lazio, previo accordo con Apat e Sogin». Necessaria per Cirilli (ma anche per la consigliera Angela Crisci, che lamenta una incidenza del gozzo alla tiroide, fatto anomalo per un territorio ricco di iodio data la sua vicinanza al mare) l'istituzione di un centro di monitoraggio di tutte le possibili malattie derivanti dall'esposizione alle radiazioni nel raggio di 15-20 chilometri dalla centrale. Per Davoli il protocollo aveva in sé degli elementi validi: «È infatti dovere di ogni amministrazione preoccuparsi della riqualificazione delle aree». Per Romagnoli (Fi) i tre anni non sono stati vani, in quanto comunque sono stati tenuti dei contatti con Sogin, anche se evanescenti; «È ora necessario preparare per il prossimo Consiglio Comunale un ordine del giorno (possibilmente condiviso) per entrare più nel concreto: ci sono infatti elementi utili da approfondire». Un forte attacco è venuto dal consigliere Pannone (Margherita-Ulivo) per cui - oltre al ritiro dell'ipotesi del protocollo d'intesa - doveva essere intrapresa una verifica con i competenti ministeri per effettuare il monitoraggio dell'area onde accertare lo stato di sicurezza; per conoscere il piano di smantellamento delle centrali a livello nazionale e per conoscere lo stato di avanzamento dell'individuazione del sito nazionale, e per partecipare, insieme ad Enti, organi competenti ed associazioni di tutela, alla valutazione del piano di intervento per la messa in sicurezza della centrale.
Dalla discussione emerge anche un problema politico: da questa vicenda come escono i partiti? Zaccheo, la sua maggioranza e soprattutto il suo partito dovranno rivedere un po' di dinamiche interne in vista delle prossime elezioni comunali, se è vero come è vero che alcuni circoli della stessa An hanno stigmatizzato il comportamento del primo cittadino, lamentando una carenza di comunicazione all'interno del partito.
Andrea Apruzzese
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