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Latina. Ordine dei Giornalisti. Mario Petrina: «Giusto abolirlo». Paolo Serventi Longhi: «Difendere ancora scorie corporative è un errore»
Anche Mario Petrina, ex presidente dell'Ordine dei Giornalisti è con Daniele
Capezzone con la sua proposta di legge per l'abolizione di un'associazione
tutto sommato inutile agli stessi giornalisti. Un modo anche "per schiaffeggiare
le ipocrisie, le convenienze, le furbate.
Nel dibattito è intervenuto anche Paolo Serventi Longhi (segretario della FNSI) che
ha tra l'altro dichiarato:
«Occorre un dibattito serio perché questa è una proposta seria. Ho stima di Capezzone,
ci conosciamo da tempo, e quello che conta è il merito.
Quello che non mi è piaciuto è il senso di immobilismo che la categoria dei giornalisti
dà, rispetto alle trasformazioni in atto della nostra professione. C'è una necessità
inderogabile di cambiamento.
L'attuale condizione dell'Ordine non è sufficiente e non consente ai giornalisti
italiani di far conto su un organismo che agisca efficacemente, anche sul piano
deontologico o per ciò che riguarda l'accesso alla professione. Così, con una legge del
'63, vecchia di più di quarant'anni, nelle condizioni attuali, l'Ordine non ha senso.
Invece, è necessario parlare di una riforma.
In Francia c'è una Commissione nazionale eletta da giornalisti che ha il solo compito
di verificare chi fa il giornalista e di consegnargli una "carta". È un modello che a
me non dispiace.
Sono d'accordo con Capezzone su questo concetto: sul fatto che chi svolge attività
giornalistica sia riconosciuto come giornalista (e penso a tanti colleghi che hanno pagati
prezzi salatissimi per la loro attività, pur non essendo iscritti all'Ordine). Questa
è una proposta seria.
Invece, difendere l'esistente, pensare che tutto debba rimanere come prima, è un gravissimo
errore. Se c'è un paese e un Governo che finalmente discutono di liberalizzazioni,
di togliere le scorie corporative che ancora ci sono, questa è un'opportunità positiva.
Certo, il ruolo dei giornalisti è delicato, ma difendere scorie corporative è un errore».
Mauro Cascio
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