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Latina. Qui Il Territorio. Lidano Grassucci ricorda Ferrarese. «Ricordo la sua umiltà. Oggi un giornalista al secondo articolo si sente Pansa»

Mario Ferrarese l'ho conosciuto poco, lui già era uno che di comunicazione masticava quando avevo i calzoni corti in questo mestiere. Quello che mi colpiva ogni volta che veniva in redazione (lavoravo a Latina Oggi) era la discrezione con cui si muoveva e il fatto che salutava sempre con gentilezza ma anche con una punta di timidezza. Aveva un passo felpato e quando entrava in una sorta di acquario che ospitava il direttore quasi nessuno notava il suo ingresso. Ora che ci penso l'ho visto sempre e solo uscire, come se fosse già dentro. Veniva da una città che era quasi un'altra rispetto ad ora, era forse l'ultimo dei pionieri. Perchè si era pionieri anche nel comunicare. Quando lui “parlava” per conto del Comune non era ancora arrivato il diluvio degli addetti stampa, e non c'erano neanche le “scienze della comunicazione”, come se il raccontare fosse “misurabile”. Non è misurabile un articolo di Barzini, una campagna di propaganda di Oliviero Toscani, non sono misurabili le “invenzioni” di Ferrarese. Mario raccontò anche del potere (quando il potere era sacro), ma lo fece sempre senza astio verso i personaggi che raccontava. Del resto non poteva avere astio verso chi traduceva i suoi pensieri in azione. Per strada sotto i portici sempre con qualcosa sottobraccio si fermava a parlare e la cosa che mi meravigliava era che lui “chiedeva”, voleva sapere eppure della città conosceva tutti i meccanismi politici e sociali. Teneva il discorso per conto della categoria, eravamo ancora pochi allora, e lui per noi era uno che contava, alla cena con il Vescovo. Oggi i ragazzi che iniziano questo mestiere al secondo articolo sono Giampaolo Pansa, al terzo se non sono Papa poco ci manca. Sempre poche parole, sempre cortese come era cortese la Latina contadina che si avventurava nel sogno industriale che era la sua vita. Quando arrivò il premio tascabile a Latina il mito era fare i soldi, non leggere. Il motto di questa città era: “Quanti soldi hai in tasca?” “Pochi, allora non conti un cazzo”. Era una città di speranze, di consumo, non di libri. Don Milani diceva che era ricco chi “conosceva piu' parole”, a Latina contavano i soldi. In una città, ignorante (in quanto non sapeva) Ferrarese aveva capito che sarebbe arrivato il tempo del leggere ma che la lettura doveva cambiare, non piu' la severità dei libroni e della retorica della cultura che doveva essere noiosa per avere la “C” maiuscola. Ma i libri che si mettevano in tasca, che si leggevano in autobus, in treno, sul tram. Come a Milano, come a Londra, come a New York, come a .... Latina. La sua era la Latina che guardava avanti che aveva il pudore di non essere nostalgica, era democristiano perchè Latina era (ed è) moderata ma anche contemporanea. Erano gli anni di Stirling, poi del teatro comunale, dei quartieri nuovi, del sogno di una città di 200 mila abitanti. Latina era “città del nord” come cantava De Gregori. Poi la città si chiuse in se stessa, poi la città comincio' a guardare indietro, non pensò teatri ma “città giudiziarie”, non pensò all'asse tra il mare e i monti ma si diede per confine lo spazio che separava Borgo Grappa da Borgo Santa Maria, il mare da Borgo Faiti. Ferrarese è stato pioniere nel comunicare, pioniere delle nuove forme del sapere, curioso come lo sono quelli che hanno fame di conoscere. Merlino è stato l'ultimo dei maghi, dopo di lui è iniziata l'era degli uomini. Ferrarese è stato l'ultimo raccontare Latina, poi sono arrivati i giornalisti.
PS: Mario Ferrarese era orgogliosissimo di essere di Latina, come delle sue origini di Roccagorga. Perchè Latina è la città che “scegli”, una scelta che non viene meno nel ricordo delle città da cui ciascuno di noi viene. Penso che gli faccia piacere ricordare anche da dove è venuto.

Lidano Grassucci


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