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Latina. Le vacanze, la caldaia, i bagni, le maniglie e quant'altro. Ovvero: una cronaca semiseria dal basso della più disperata solitudine...
Partiamo da qui. Io credo di odiare l'estate. Magari non proprio
un odio, quello non me lo conservo per nessuno. Diciamo una cordiale
antipatia. C'è che d'estate tutto muore, c'è che fa caldo
e io il caldo non lo sopporto. C'è che ci sono le zanzare,
e io le zanzare le sopporto meno del caldo.
C'è che non c'è nulla da fare a parte rotolarsi i pollici, e se anche
ci fosse qualcosa da fare, il caldo, le zanzare, ti farebbero passare la voglia.
Quest'anno poi ho scoperto pure le cicale. O gli anni scorsi le cicale a Latina
non c'erano, oppure erano mute, oppure quest'anno sono io sulla soglia dell'esaurimento nervoso.
C'è soprattutto che ogni estate mia moglie mi lascia solo e per me comincia
la lotta per la sopravvivenza. Vado avanti giorni con le scatolette
di Simmenthal perché per me anche un ovetto alla coque è un esercizio di stile
di alta cucina a cui non riesco a dedicarmi senza fare danni eccessivi. A me e all'uovo.
Devo sperare che non mi si fulminino le lampadine, perché se no finisco che giro
per casa con le candele. In pieno agosto ho litigato con la caldaia. Proprio, non ci siamo
parlati per settimane. Lei si rompe sempre ad agosto. Intorno al 15. Non una settimana
prima, non una settimana dopo. Lì, in mezzo. Ha il timer. Insomma, senza mia moglie
ho meno autosufficienza di mia nonna. La differenza sostanziale è che io non porto i pannoloni.
Lei se ne va a Sperlonga (mia moglie, non mia nonna). In realtà non è vero,
è praticamente a Fondi la casa
che affitta la madre. Non ho mai capito perché si debba dare un tono. Con me.
Mi fa la snob in casa. Me lo tiene nascosto. Manco poi lo scrivessi sul giornale.
E io rimango con montagne di saggi che non leggo, con due o tre libri che sto preparando
e che non scrivo, e con amici che non vedo perché loro partono e io rimango a Latina come
uno stronzo. Io amo il fresco, il cielo scuro,
la pioggia persino. Quando fuori tira il vento, e fischia, e urla la bufera
e ti tira giù gli alberi che manco Guercio io dormo persino meglio. È come
dormire in treno. Che bello dormire in treno. Ma questo è un altro discorso.
Dicevo che non riesco ad adeguarmi al paradigma concettuale che l'estate è bella.
È più forte di me, non mi ci ritrovo. C'è una signora che abita al sesto piano
che quando le dico in ascensore che non vedo l'ora che piova mi guarda come un marziano
e manca poco che si tocca. Mi dispiace, ma io in questo entusiasmo vacanziero ci rimango
incastrato come un alce in una rete, pur non avendo le corna (o almeno credo).
È come entrare in un bagno e non uscirne più, e di questo modestamente me ne intendo.
Come quei bagni, tipo Ikea tanto per indicare, tutti modernità ed efficienza.
Da lì non esci più se non conosci l'arcano che fa scattare la molla. Che ti credi,
mica basta girare come si faceva un tempo. No, bisogna dare un doppio giro,
poi tirare verso di sé con un colpo energico (se ti fai vedere indeciso è finita,
la porta non ti prende più sul serio e se la ride carogna), poi spostare un inghippo
dentro la maniglia. Insomma, finisce invariabilmente che batti i pugni sulla porta,
prima piano perché ti vergogni, poi sempre più forte fino ad urlare. Ne esci che sei
tutto sudato e fuori ti guardano
tutti come un deficiente, perché non capiscono, perché è facile, perché basta fare
così e così e così. Ma perché, un così e basta non si può fare? Ecco, per me uscire
dall'estate è come uscire da un cesso. Peccato che poi ci sia chi deve per forza
mettere tutta la sua elaborazione filosofica nella maniglia come categoria dello spirito.
Mauro Cascio
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