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San Felice. Aldo Fabrizi, mio padre. Il libro di Massimo: «Un tenero amarcord. Che non rinuncia a raccontarlo con tratti di rudezza...»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Massimo Fabrizi. È stato presentato il suo libro, dedicati al suo papà, Aldo. Il titolo è emblematico «Aldo Fabrizi, mio padre», perché affidare alla carta i suoi amarcord? «Quando ho cominciato a scrivere il libro nel 1992 non immaginavo diventasse un libro. In cinque mesi ho buttato giù 500 pagine. A quel punto ho vinto resistenze e scrupoli». Che tipo era papà? «Lui era più grande di quanto si sia riusciti a capire dallo schermo e dal palco. Forse non si è saputo vendere bene. Ma credo che venga fuori anche il Fabrizi inedito, il Fabrizi con il carattere un po' burbero, il Fabrizi scontroso, dittatoriale. Noi avevamo soggezione di papà, anche mamma del marito, anche la nonna del figlio. Non era un rapporto facile. Anche il rapporto con gli addetti ai lavori, lui aveva la brutta abitudine di dire quel che pensava. Ho vinto tante di quelle scenette. Quando un personaggio famoso veniva ripreso, tanto più giusta era l'osservazione e tanto più scottante di fronte a tutti era la cosa. Papà aveva un forte senso dello spettacolo e della logica. Lui non sopportava la battuta per la battuta». Del resto devo dire che i film erano molto meno banali di quanto non lo siano oggi. Non avevano bisogno di volgarità, di culetti, di zinnette, di parolacce. C'era una comicità più intelligente, più felice». Ancora oggi Aldo Fabrizi è molto amato... «Sì, devo dire che anche le nuove generazioni lo conoscono. Anche se mi è capitato che qualcuno non lo conoscesse. È anche normale, sono passati anni». E il rapporto col cibo che rapporto era un rapporto odio/amore? «No, no. Un rapporto amore/amore. Poi sì, magari si rendeva conto che la sua circonferenza aumentava. Qualche volta ha tentato di contrastare questa tendenza e si è sottoposto a severissime diete. Ma non è che mangiasse tante, ma mangiava con gusto. Non mangiava mai per cibarsi, per lui era un momento quasi rituale». Qual è la differenza tra il cinema di qualche anno fa e quello di oggi? «Era un cinema molto più coraggioso, anche se c'erano pochi mezzi c'era questo gusto per la sperimentazione, pioneristico. Si riuscivano a fare ottime cose con pochi soldi. Tanti significati e pochi effetti speciali. C'era un'intelligenza di sceneggiatura». Dal suo libro cosa vorrebbe che il lettore capisse? «Una domanda che non mi aspettavo. Vorrei che il lettore non giudicasse me troppo impietoso. A mio padre voglio bene, e me lo sogno ancora tassativamente due volte alla settimana».

Elisabetta Rizzo

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