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Latina. Questo PRG s'ha da fare. Pierluigi Cervellati: «Si risponde solo ad interessi privati, di chi costruisce e di chi compra. Una città sfigurata»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS con Pierluigi Cervellati (già autore, oltre dieci anni fa, di un piano regolatore per la città di Latina), in occasione della presentazione del sito internet www.pianoregolatorelatina.it, ideato da Nando Cappelletti per dare a tutti la possibilità di studiare la situazione urbanistica del capoluogo pontino e per fornire idee e suggerimenti. Alla presentazione hanno preso parte l'assessore il sen. Ajmone Finestra, sindaco di Latina all'epoca della realizzazione del piano regolatore del prof. Cervellati, l'assessore all'Urbanistica del Comune di Latina, ing. Massimo Rosolini e l'on. Stefano Zappalà.
Professore, stiamo assistendo a Latina ad un boom dell'edilizia, che però non corrisponde ad una crescita demografica, aspetto che lei ha sottolineato nel corso dell'incontro. È ancora più urgente quindi l'attuazione di un piano regolatore?
«In tutte le città è sempre necessario pianificare e per pianificare bisogna avere un'idea di città. Oggi si stanno costruendo case come se si avesse una macchina con il motore in folle, che consuma benzina ma non va avanti. Si stanno costruendo case con un appesantimento che renderà sempre più difficile costruire una città nel senso vero del termine».
Perché accade questo e non viene applicato il piano regolatore?
«A questo per fortuna non devo rispondere io, non so i motivi perché non si voglia applicare. Ma sono certamente molteplici: oggi c'è questa bolla edilizia che investe l'occidente, in cui, attraverso le case, si possono ottenere dei mutui e più case faccio più mutui ottengo, e con questi soldi posso poi comprare altre cose».
Lei ha presentato un piano regolatore durante l'amministrazione Finestra: quali sono gli aspetti che lo rendono ancora attuale?
«L'attualità è data dalla lettura di questo territorio, facendo sì che la sua storia fosse anche il suo futuro; queste parole hanno sempre creato delle interpretazioni "partitiche" o "ideologiche". Io sono del parere che la storia e l'identità definiscono un luogo, una città, ne danno una sua caratteristica e i valori identitari sono importanti, sono pubblici, appartengono alla collettività, non ai singoli, mentre le case appartengono ai singoli e finiscono per distruggere questi valori identitari».
Lei ha parlato del "disastro" della Marina. Come valuta l'utilizzo dello strumento del concorso di idee per la sua riqualificazione, utilizzato dal Comune di Latina?
«Non l'ho seguito. In generale, sono contrario al concorso di idee perché normalmente, quando si fa, lo si fa perché non si hanno idee, allora si chiedono idee ad altri che le hanno. L'urbanistica non è un atto di creatività: non si può costruire la città ideale come nel Quattrocento (che poi non sono riusciti a crearla nemmeno loro, ed erano molto creativi e molto bravi). Noi dobbiamo avere l'umiltà di confrontarci con la situazione in essere, capire come si possa realizzare un disegno alternativo e togliere quelle case che stanno dentro al bagnasciuga, oltre a quelle della prima fila, ed allargare quindi l'arenile. Non si possono usare le bombe a mano e non si può sperare - come per esempio per il versante siciliano, a Catania - che l'Etna distrugga tutta l'espansione che si è arrampicata sulle sue pendici. Semplicemente bisogna fare un progetto in cui sia presente l'elemento acqua, che qui è caratterizzante, in quanto ha fatto parte dei canali e della città di fondazione, ed è lì presente con un canale che si può allargare, che è lungo due chilometri e che può diventare molte cose, ed in cui la presenza di territorio pubblico del Comune potrebbe consentire, sulla base di un disegno, lo spostamento di queste case. Non c'è quindi a mio parere bisogno di un'idea, perché l'idea l'abbiamo tutti, ed è quella di togliere le case che sono sull'arenile, senza bisogno di un mega-progetto accademico o un'altra cosa astratta. Semplicemente bisogna programmare, oggi si toglie una casa, domani un'altra, e tra trent'anni, perché la pianificazione ha i tempi lunghi, si risolve. Le scelte che vengono fatte oggi, consce od inconsce, il fatto di ritardare un'azione precisa, nel fare il concorso di idee, nello scegliere l'idea migliore, poi la prossima Amministrazione ne terrà conto o non ne terrà conto, hanno un effetto nel futuro. Nei tempi lunghi, diceva un grande economista, siamo tutti morti, non solo io che sono vecchio».
È stato creato il sito Internet "Per salvare Latina e i borghi". Ma per salvare Latina, cosa bisogna fare?
«Intanto partecipare: i cittadini non si devono accontentare di avere una casa o di arricchirsi ulteriormente comprando un'altra casa: debbono capire che abitando in un luogo ci si arricchisce culturalmente; abitando in periferie (e non sto parlando di questioni sociali o di banlieue tumultuose) c'è un impoverimento, c'è un elemento segregante, ghettizzante, non c'è più quel rapporto, perché mancano i servizi, manca la centralità. I borghi possedevano una loro centralità, perché erano piccoli borghi di una piccola città: se i borghi non tornano ad avere una loro centralità, diventano la periferia di una periferia».
Lei ha proposto una moratoria: non costruiamo più case finché non viene approvata una regolamentazione. Era provocatoria?
«La moratoria è sempre provocatoria, perché nessuna Amministrazione, specie in tempi elettorali, la vorrà fare. Però oggi, se non vogliono attuare un piano, non vogliono approvare un piano e si rinvia la bella architettura al concorso di idee, si abbia almeno il coraggio di dire "non provochiamo ulteriori danni". Quindi non si costruisce, non si fanno "variantine ad hoc", si blocca, tanto le case per coloro che hanno bisogno di una casa, ovvero le giovani coppie o i single che non hanno i soldi per comprarla (anche perché costano sempre di più), non ci saranno mai, perché non si costruisce edilizia pubblica. Noi che ce l'abbiamo, non abbiamo bisogno di averne altre: ecco che non si creano disastri totali. La città vive se noi riusciamo a farla vivere, cioé se noi diamo alla città il senso di appartenenza di chi ci abita, l'orgoglio di abitare in una città e non in una periferia».
Andrea Apruzzese
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