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Latina. Stagione di Prosa. Successo per Tullio Solenghi. «Con la Bisbetica Domata abbiamo voluto rimanere fedeli all'autore»

Davanti le Telecamere di Parvapolis Tullio Solenghi, al Palacultura di Latina domenica scorsa con la ‘Bisbetica Domata’ di William Shakespeare, per la regia di Matteo Marasco. Lo spettacolo, accolto con calorosi applausi dalla platea pontina, ha avuto il maggior consenso di pubblico nella passata stagione al Teatro Eliseo di Roma ed è stato acclamato al Morlacchi di Perugia da giovani spettatori entusiasti. Al ‘National Theatre’ di Londra viene esposto in bacheca un dvd tratto dall’allestimento prodotto dalla compagnia di Gabriele Lavia. “Il nostro è una messinscena rigorosa dell’opera che Shakespeare scrisse per soli uomini. Io personalmente diffido sempre degli spettacoli che si discostano dall’originale, travisandone l’intrinseco significato. Abbiamo rispettato la notevole comicità del testo del drammaturgo inglese e, al tempo stesso, abbiamo mantenuto la profonda problematica sottesa, fatta di psicologismi connessi alla dualità maschile - femminile presente in ogni essere umano”. Il regista Matteo Marasco così descrive l’allestimento: “La nostra Bisbetica domata è un carnevale in un mondo di tristi clown cattivi, di saltimbanchi straccioni, tanti Yorick che, tra risate, frizzi e lazzi, inventano la realtà. E la realtà altro non è che una burla, una zingarata orchestrata da una masnada di maghi Cotrone, di figli di Hermes. Il loro compito è quello di evocare immagini fantastiche per poterle riconoscere nel loro inesauribile gioco di rimandi, in quello specchio della natura che il teatro rappresenta e in cui psiche scopre la contingente prossimità con la propria maschera, perché gli oggetti dello specchio sono sempre più vicini di quel che sembra e la maschera è lo stimolo all’indagine, l’invito ad attraversare lo specchio della natura per ritrovarsi distorti, divisi e smembrati. Il nostro carnevale circense è un “carnem levare”, un “eliminare la carne”, mira cioè a distoglierci da quell’atteggiamento realistico dell’incarnare un personaggio, un ruolo, una parte. Il circo rappresenta perfettamente questo momento di psichizzazione che sovverte l’ordine naturale delle cose, perché il circo è sublime “opus contra naturae” che instaura un mondo pneumatico, elastico, gommoso, senza “gravitas”, ovvero senza peso, senza corpo. E nel circo l’immagine del clown, grazie all’esecuzione accurata di assurdità ripetitive, ci presenta il mondo infero in pieno giorno: gli sberleffi sguaiati del clown spalancano le porte all’intelligenza della passione. Seguire il clown significa entrare in una prospettiva di ribellione contro l’ordine del mondo diurno, abbracciare l’estasi di una baldoria organizzata, nel senso inglese di “revelry”, che deriva dal latino “rebellare”, cioè licenzioso trambusto, dissonante discordia, scompiglio del senso, allegra rivolta”

Claudio Ruggiero

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