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Latina. La Grande Bugia. Giampaolo Pansa torna ad appassionare e a dividere anche nel capoluogo pontino. «Non può esserci memoria condivisa»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giampaolo Pansa, a Latina per presentare
il suo ultimo libro "La Grande Bugia", in un incontro organizzato dal quotidiano
Latina Oggi a cui hanno partecipato l'editore Giuseppe Ciarrapico, il direttore
Luigi Cardarelli e il caporedattore della testata Alessandro Panigutti.
L'accusa di revisionismo è sempre in agguato per chi, pur condividendo le stesse
posizioni dei vincitori, vuole scrivere tutta intera la storia. Pansa non se ne cura e
indaga nelle pieghe di episodi e circostanze che videro migliaia di italiani
vittime delle persecuzioni e delle vendette di partigiani e antifascisti. Nei libri precedenti
l'autore è andato a trovare alcuni degli italiani che subirono vendette dopo il 25 Aprile,
e gli ha chiesto di rievocare le sofferenze patite nei mesi seguiti alla Liberazione.
Il risultato è un'opera che si sofferma su donne e uomini vissuti per decenni come
se avessero una colpa da nascondere e la cui esistenza è rimasta comunque segnata
da un assassinio, una ritorsione, un sequestro o la scomparsa nel nulla di un loro
congiunto. Un libro forte, per l'immediatezza del racconto e il carico di dolore che
ogni testimonianza porta con sé. Parlare di storia da un lato diverso, perché?
«Perché la storia non può essere fatta ascoltando tutti i vincitori, ma bisogna sentire
tutte le parti in lotta, quindi anche chi ha perso. Io sono un antifascista, sono un (ex)
ragazzo di sinistra ma non ho mai scordato questa verità elementare, che molti dalla
mia parte dimenticano». Le guerre civili, scatenate da fanatismi ideologici e religiosi,
continuano a mietere vittime anche oggi. Qual è il messaggio che potrebbe arrivare,
soprattutto alle nuove generazioni, alle nuove generazioni? «Guardate, io non sono
mai stato un pacifista. Ho sempre avuto dei dubbi, se le guerre potessero essere
fatte o meno. Ma un mio amico che lo è, mi ha detto che quando ho scritto libri come
"I figli dell'aquila", "Il sangue dei vinti" e "Sconosciuto 1945" ho scritto i libri
più pacifisti. Perché le guerre bisognerebbe sempre evitarle sino all'ultimo. Ho
incontrato partigiani e combattenti della Rsi che mi hanno detto che la guerra
civile è una cosa terribile. L'ultima cosa che vorrebbero è rivederla nella loro vita».
Lei racconta la storia attraverso gli occhi dei bambini, o delle persone normali.
Non i grandi eventi, ma la quotidianità... «Credo che sia il motivo del successo
di "Sconosciuto 1945", per esempio. Qui parlo degli italiani, e in queste testimonianze
c'è l'orrore della storia in sé, le vite spezzate di chi non c'entrava nulla.
E c'è una generazione che è cresciuta con l'angoscia nel cuore».
Oggi c'è tutta questa guerra incivile tra storici intorno ai suoi libri, perché?
«Non è una guerra tra storici ma tra superbi. C'è chi non conosce
a fondo la storia, e ripeto: la storia non può essere scritta solo dai vincitori.
È questo che dà fastidio».
Non è paradossale che un uomo di sinistra diventi eroe della destra?
«Il mio lavoro è stato semplicemente scrivere quanto è successo, aldilà
del fatto che la sinistra oggi mi attacchi e la destra stia dalla mia parte».
Ma è meglio avere contro la destra o la sinistra? «Probabilmente è meglio
avere contro la destra».
Ma questa sua impostazione non rischia di appannare i valori
fondanti della Resistenza?
«No, io racconto della patologia dei valori della Resistenza. Non voglio
intaccare la Resistenza in sé. Ci furono tanti uomini che morirono per gli ideali
in cui credevano. Comunisti, liberali, cattolici. Quelle morti vanno rispettate. Ma ci sono stati morti anche
dall'altra parte».
Comunisti, liberali, cattolici: quindi nessuna unità politica della Resistenza?
«Nel dopoguerra ci fu chi tenrò di arrivare ad un improbabile monopolio. Però no,
le anime della Resistenza furono tante».
Un mucchio di soldi delle casse della RSI sono finiti nelle mani dei
comunisti, ci sono stati interessi economici dietro la Resistenza?
«No, che io sappia no».
Torniamo al fondamento ideologico: esiste una memoria condivisa?
«No. Oggi non esiste nemmeno più
l'onestà di una stretta di mano».
Ed a proposito di memoria condivisa: un'aula del senato intitolata a Carlo Giuliani, il no global morto a Genova
"pacificamente" con un estintore in mano (dopo aver quasi distrutto una camionetta
della polizia). Non è un provocazione eccessiva quella di Rifondazione Comunista.
«Io non sono d'accordo a quella intitolazione. Ma non per un giudizio sul fatto
specifico: abbiamo bisogno del giudizio sereno e distaccato della storia, non degli umori della cronaca».
Elisabetta Rizzo
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