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Latina. Fecondazione assistita. Mettere al mondo un figlio sano? Non sia mai! Anzi. Per l'Avvocatura dello Stato è una "infondatezza giuridica"
Anche la speranza di eliminare una delle parti più odiose della legge 40 sulla fecondazione assistita: quella che vieta l’analisi preimpianto e che consentirebbe di far nascere un bambino sano sembra essere sfumata. La Corte Costituzionale ha liquidato la questione, dichiarandone l’inammissibilità.
A far approdare l'embrione di fronte alla suprema Corte è stato il tribunale di Cagliari, a cui aveva fatto ricorso una coppia di questa città portatrice sana di anemia mediterranea. I due, già un’altra volta si erano affidati alla tecnica della fecondazione in vitro. A gravidanza avviata, però l’ amniocentesi aveva rivelato che avrebbero messo al mondo un bambino talassemico. Così avvalendosi della legge 194, la donna si era sottoposta all’interruzione volontaria di gravidanza. La vicenda aveva però lasciato in lei uno strascico traumatico. Ammalatasi di depressione aveva dovuto ricorrere a cure mediche per circa un anno. Superata questo momento, la coppia ha tentato di nuovo di avere un figlio ricorrendo alla fecondazione assistita. Questa volta, però, a tutela della salute della madre e del nascituro avrebbe voluto avvalersi di una diagnosi preimpianto. E per far valere le proprie ragioni si era rivolta al tribunale di Cagliari. I giudici hanno sostenuto le ragioni della coppia, affermando che l'art.13, comma 2, della legge 40, col vietare qualsiasi analisi sull’embrione, viola l'art. 3 della Costituzione, che stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La “ingiustificata disparità di trattamento" starebbe infatti nel diritto d’informazione a tutela della salute della donna e del nascituro. Mentre infatti nella fase embrionale sarebbe vietata ogni analisi, questa sarebbe consentita a gravidanza inoltrata sul feto. La discriminazione sarebbe legata dunque allo stadio di minore o maggiore sviluppo cellulare del nascituro. Argomento ineccepibile. Si richiedeva quindi il pronunciamento della Suprema Corte Costizionale per stabilire la sintonia o meno della legge 40 (almeno per la parte sottoposta a procedimento giudiziario: art. 13) con la suprema legge dello Stato: la Costituzione Repubblicana. Abbiamo già detto come è andata a finire. La Corte ha rigettato la questione per inammissibilità.
Ma forse, a pensar male, viene il sospetto che essa sia stata più sensibile a quanto sostenuto dall'avvocatura dello Stato, che nella sua memoria ha sottolineato “l’infondatezza giuridica della pretesa di avere 'un figlio sano' e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l'elemento attinente all'equilibrio psico-fiso della donna".
Il controllo patriarcale sulla donna è ancora una volta servito!
Maria Mantello
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