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Latina. Pax vobis, Pacs nobis. Dietro gli scudi alzati la pretesa, umana troppo umana, di essere gli unici a raccontare storie ricche di senso
Capito? Tutto questo ribollire di libertà, questi diritti civili che tornano
in prima pagina, questa voglia di amare senza barriere e distinzioni
ha un nome: secolarizzazione. L'Avvenire te lo dice apparentemente senza
offendere. È la società che sta perdendo il suo orizzonte di senso,
è il sacro che stiamo spedendo nel soppalco in garage. È come toglierti un Treo, lo Smartphone che doveva far tutto e invece andava in tilt pure se volevi mandare un sms. È una storia
senza contenuto là dove i contenuti sono stati raccontati una volta
e per tutte aldilà del Tevere, a chi oggi è l'unico autorizzato a parlare.
In nome della storia e dei suoi significati.
Gershom Scholem, il noto studioso di Qabalah,
riferisce una storiella che ha sentito raccontare
dalla viva voce di S.J. Agnon, un grande narratore ebreo.
Quando Bàal-Shem doveva assolvere un qualche compito difficile,
qualcosa di segreto per il bene delle creature, andava allora
in un posto nei boschi, accendeva un fuoco, e diceva preghiere,
assorto nella meditazione: e tutto si realizzava secondo il suo proposito.
Quando una generazione dopo il Maggìd di Meseritz si ritrovava
di fronte allo stesso compito, riandava in quel posto nel bosco,
e diceva: "Non possiamo più fare il fuoco, ma possiamo dire le preghiere" e tutto
andava secondo il suo desiderio.
Ancora una generazione dopo, Rabbì Moshe Leib di Sassow doveva assolvere
lo stesso compito. Anch'egli andava nel bosco e diceva:
"Non possiamo più accendere il fuoco, e non conosciamo più le segrete
meditazioni che vivificano la preghiera; ma conosciamo il posto
nel bosco dove tutto ciò accadeva, e questo deve bastare".
E infatti ciò era sufficiente. Ma quando di nuovo, un'altra generazione
dopo, Rabbì Yisra'èl di Rischin doveva anch'egli affrontare lo stesso
compito, se ne stava seduto in una sedia d'oro, nel suo castello e diceva:
"Non possiamo fare il fuoco, non possiamo dire le preghiere, e non conosciamo
più il luogo nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia".
E così - concludeva il narratore - il suo racconto da solo aveva la
stessa efficacia delle azioni degli altri tre.
Ora uno si chiede: oggi, abbiamo ancora storie che vale la pena raccontare?
Storie che ti lascino qualcosa di dentro.
Non sarà mica che alla fine, stringi stringi, uno si accontenta? E che
in nome di questa storia d'accatto, di questa elemosina di senso, tu mi
chiedi di ingabbiare i miei diritti, la mia vita, la mia libertà?
E se la Bibbia prova l'esistenza di Dio, e i Vangeli quella di Gesù, i Manga provano
l'esistenza di Ken il guerriero?
Mauro Cascio
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