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Latina. L'eredità del Patto Atlantico. Giulio Andreotti: «Una scelta giusta in nome della democrazia. Quei valori sono ancora attuali»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giulio Andreotti, a Latina per presentare il suo ultimo libro. Dopo aver pubblicato i suoi diari del 1947 e del 1948, Andreotti presenta quello del 1949, un anno anch'esso decisivo per la storia dei decenni futuri. Segna infatti l'inizio "ufficiale" della Guerra Fredda: mentre l'Unione Sovietica si prepara a far esplodere la sua prima bomba atomica (in agosto) e riunisce i paesi dell'Est nel Comecon, gli Stati Uniti danno vita alla Nato. Proprio attorno all'adesione dell'Italia al Patto Atlantico si scatena una furibonda battaglia politica, in cui il governo democristiano deve affrontare l'ostilità non solo di comunisti e socialisti, ma anche di vasti settori cattolici, contrari a ogni forma di alleanza militare. Un anno cruciale... «Sì, eravamo ad una volta. Una grossa scelta internazionale per un ancoraggio sicuro. La situazione si era logorata». C'era un forte timore rosso... «Sicuramente l'Unione Sovietica non era un avversario anglosassone. Si temeva un movimento che negli altri paesi potesse avere delle quinte colonne o addirittura qualcosa di più delle quinte colonne. Oggi per fortuna questo movimento non c'è più». Perché parlarne? «Per amore della storia. Sicuramente, oggi, il pericolo comunista non esiste». Patto Atlantico sancisce quindi un'amicizia importante, cara a tutto il mondo liberale e democratico, richiamata prepotentemente agli onori delle prime pagine dopo i fatti dell'11 settembre... «All'epoca nessuno poteva immaginare una cosa simile all'attacco delle Twin Towers. Certo, l'articolo 3 parla di difesa dei territori dei paesi membri. Ecco perché mettiamo per esempio nel Kossovo la Nato non c'entrava. Ma ripeto: nel 1949 nessuno si aspettava le torri. Si voleva disegnare in Europa, negli Usa e in Canada un quadro complessivo di sicurezza». L'Italia ha avuto ed ha un suo ruolo, una sua dignità all'interno del Patto Atlantico e più in generale della comunità occidentale? «Sì, nella maniera più assoluta. Non dobbiamo certamente gonfiarci o ritenerci di più di quello che siamo, ma nemmeno ritenerci inferiori agli altri». Qual è l'eredità che conserviamo ed eventualmente sottovalutiamo del 1949? «Una fitta connessione tra politica interna e politica estera. Ora il problema semmai è come fare uscire l'Unione Europea da una certa crisi in cui sta. Il Referendum in Olanda e in Francia ha bloccato il cammino verso la costituzione comune. Allora, lasciamo perdere la Costituzione e creiamo un modello nuovo».

Elisabetta Rizzo

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