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Latina. I primi vagiti del Partito Democratico. Donato Maraffino: «In vista delle elezioni è sempre più urgente iniziare un cambiamento...»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Donato Maraffino. «Il percorso verso la creazione del Partito Democratico nella nostra provincia è irto di ostacoli. Il primo è rappresentato dal turno delle elezioni amministrative in diversi comuni che non aiuta una riflessione strategica del centro sinistra pontino, lepino e dei comuni della costa sud della provincia. In primo luogo si assiste a comportamenti diversi da quelli prospettati dalle mozioni congressuali tanto che pur se ad esempio la mozione unitaria della Margherita indica necessaria una: “presenza delle liste dell’Ulivo nelle elezioni amministrative con l’obiettivo di farne il punto di forza delle coalizioni del centrosinistra” e ancora “…Il PD, sin dalla sua fase costituente, è perciò aperto alla più larga partecipazione di cittadini che intendano aderire ad esso in forma personale e diretta.”, di fatto in molti comuni della provincia si assiste ad un proliferare di liste (vedi Gaeta, Sezze, Latina ad esempio).
Ad oggi si può dire che in nessuna parte della provincia l’Ulivo presenti una lista propria e tanto più l’Unione. Se non fosse il frutto di “spontanee” decisioni politiche locali, tale scelta tanto uniforme sembrerebbe una decisione politica degli organi provinciali dei partiti.
La motivazione di tale frammentazione è al solito l’idea, molto smentita dai fatti elettorali di questi ultimi 15 anni, che la moltiplicazione delle liste separate aumenti il consenso elettorale. Invece, noi pensiamo, se ogni Sindaco del centro sinistra non ha dietro di sè un solido polo riformatore che inveri lo spirito dell’Ulivo, la politica diviene liderismo locale o frammentazione corporativa o di gruppi di pressione (quando va bene) o peggio di interessi economici che direttamente vogliono imporre il cemento delle alleanze. Inoltre anche il ricorso alle primarie, in questo scenario, più che essere visto come uno dei metodi (non il metodo in assoluto) della selezione di una nuova classe dirigente all’interno di un processo unitario di definizione di obiettivi sociali, urbanistici, istituzionali, viene accettato solo quando fa comodo per saggiare i rapporti di forza di sottogruppi politici interni o tra partiti (in primo luogo tra DS e DL), fatto che ha amplificato la conflittualità, il potere di veto e la confusione politica. Un esempio illuminante saranno le elezioni di Sezze, Gaeta e Latina, dove decine di liste si contenderanno quasi lo stesso elettorato modificando i quorum elettivi a discapito della rappresentanza complessa e aprendo il varco alla fine della politica come sintesi e mediazione della pluralità degli interessi, valori e bisogni.
La nostra Associazione (nelle riflessioni sulle primarie svoltesi a Latina) ha invitato le forze del probabile nuovo PD a non cadere nell’elettoralismo, a fare delle primarie un fatto politico, a sperimentare un livello di unità riformatrice superiore ed ad evitare il municipalismo.
Ha invitato le stesse forze ad aprire un nuovo corso del riformismo pontino, una nuova stagione positiva che salvando il lascito positivo dell’eredità del socialismo, repubblicanesimo e cattolicesimo pontino, sappia andare oltre. Sappia affrontare i nuovi bisogni in una società globalizzata in cui la vita delle comunità si deve confrontare con problemi nuovi (servizi, nuova cittadinanza, impresa e flessibilità del lavoro, senso delle nuove opportunità).
I Congressi dei DS e DL devono essere una occasione di apertura sociale al volontariato, al confronto degli iscritti con il mondo fragile delle associazioni e delle rappresentanze, anziché restare uno stanco rito interno, o peggio una resa di conti paralizzante e alla fine poco efficace per la democrazia. Certo alla fine deve essere dei militanti la scelta, ma prima si apra al confronto, si chiuda la stagione, troppo lunga, dei partiti autoreferenziali o meglio dei gruppi di potere autoriproduttivi. Il nuovo PD deve nascere si dalla discussione interna, ma con un grande atto di riflessione corale, partecipata.
Sinceramente, e lo dico con amarezza, il primo congresso DL di Latina non è andato nel verso giusto. Tra le altre ci ha colpito la riflessione di alcuni membri della Margherita di Latina che hanno chiesto di aspettare le decisioni nazionali. Non è un atteggiamento nuovo questo, fa pensare a quella tendenza a “lasciare aperta un’altra possibilità”, al “calcolo strumentale” che spesso sfocia nel trasformismo che vuole evitare la responsabilità del mettersi in gioco e decidere del futuro. Abbiamo proposto al centro sinistra un meeting provinciale capace di alzare lo sguardo progettuale oltre il municipalismo, per dare respiro, fiducia, prospettive ad una economia e società provinciale che rischia grosso, che può scivolare verso il degrado, la dipendenza e in diversi punti nella marginalità della illegalità diffusa.
Il centro sinistra ha bisogno di un cambiamento di classi dirigenti nei comuni, nella provincia e nella regione, pena una diffusa sfiducia politica che non ci renderà capaci di captare l’elettorato scontento di un centro destra che si dimostra tra i più superficiali, approssimativi e inconcludenti d’Italia, che pur detenendo rappresentanze importanti in Parlamento, ha relegato il nostro territorio ad un enclave elettoralistico e, cosa più grave, sta favorendo la disarticolazione economica, sociale istituzionale e civile della provincia. Le anime più sensibili e le personalità più avvedute dovrebbero favorire questo processo ed evitare di stare alla finestra, aspettando non si sa cosa. E cosa dire di qualche autorevole Sindaco o di consiglieri che pochi mesi or sono parlava sui giornali di PD facendone una questione di principio e ora che deve agire sta in silenzio? E come è possibile che gravi debacle elettorali non provochino non solo alla ricerca già chiare responsabilità dirigenziali, ma discussioni aperte e pubbliche, capaci di partorire un “pensiero della svolta” e di nuove responsabilità di cui abbiamo bisogno? Ma ben altri segni politici bisognerebbe inviare. Quando si critica il cesarismo, nel centro sinistra si dovrebbe poi essere coerenti. Per chiudere la stagione del berlusconismo (come stile politico) dobbiamo aprire la fase di una democrazia deliberante e della responsabilità politica: il processo del nuovo PD si fa anche adesso, con le elezioni amministrative, con un programma riformatore, perché se ogni attore fa l’attendista, l’evocazione del PD è vuota e copre la mancanza di una solida idea per il futuro delle nostre comunità».
Diana A. Harja
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