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Roma. L'Autobus di Stalin. Antonio Pennacchi: «Non credo esistano concetti difficili. Esiste soltanto un modo confuso di esporli...»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Antonio Pennacchi. Il suo "L'Autobus di Stalin" è diventata
una piece, al Teatro dell'Orologio fino a domenica, con la regia e l'interpretazione
di Clemente Pernarella. Come ci si sente?
«Uno è contento, emozionato e teso. Uno vede il proprio testo alla prova del nove
con il pubblico. Anche perché era un testo che io non ho fatto come teatro, doveva
essere un saggio. Quando Clemente me lo propose io gli risposi: ma tu sei matto,
sai che palle che gli fai alla gente. Invece poi lui è stato bravissimo, è stato
eccezionale: sette applausi a scena aperta, la gente che rideva
e quindi una materia dolorosa noi siamo riusciti a trattarla esattamente come nel
mio intendimento. Con il linguaggio dei bar, come si parla normalmente.
Perché questo fa parte di tutto il mio lavoro di scrittore: anche quando parlo di cose
difficili, devo parlare in maniera semplice così che tutta la gente possa capire.
Quando la gente parla in modo difficile è perché non vuole fare capire agli altri.
Ma non esistono concetti difficili. Esiste solo un modo confuso di esporli.
Io quando scrivo, scrivo sempre per i miei compagni della Fulgorcavi.
Il risultato mi pare estremamente eloquente. È chiaro che è politicamente scorretto
un testo del genere. In un mondo in cui bisogna fare i soldi e basta. Dove
sin da piccolo ti dicono: se non fai i soldi non conti un cazzo. Il mio
discorso è tutto un altro, un discorso basato sull'uguaglianza». La cosiddetta
coscienza civile... «Che è una cosa che si costruisce tutti insieme e nel tempo.
Io faccio questo mestiere. Scrivo». Una grande originalità declinare un qualcosa,
come il comunismo, che ormai per tutti appartiene al passato, con il presente, con
l'attualità... «Certo. Io quando dico in giro che sono stalinista lo dico per provocare.
Lo so pur'io che è successo qualche cosa che non andava. Il problema di fondo è che permane
una situazione di forte disuguaglianza che urla vendetta di fronte al cosmo. Noi siamo
tutti uguali. Ed anche se c'è stato il crollo del comunismo nei paesi dell'Est
il problema resta. L'uomo non per questo è condannato per tutta l'eternità a vivere
sfruttato e diseguale».
Claudio Ruggiero
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