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Latina. Il mestiere del giornalista. Alessandro Barbaro (Messaggero): «Il nostro ordine è l'unico a cui si accede senza aver studiato»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Alessandro Barbaro, caporedattore de Il Messaggero. In questi giorni il tema dominante sono le liberalizzazioni che, un po' a sorpresa, il governo di centrosinistra sta concedendo, anche se a dosi omeopatiche. E quindi la progressiva fine di statalismi e corporazioni. Anche l'Ordine dei Giornalisti costituisce un problema e tempo fa nacque un dibattito iniziato da Daniele Capezzone, già segretario dei Radicali Italiani. È giusto eliminarlo o è una realtà che deve rimanere? «L'ordine dei giornalisti non è un problema in quanto ordine dei giornalisti, è un problema piuttosto in quanto deriva corporativa degli ordini in questo Paese. Non si discosta dagli altri ordini, e questo accento maggiormente corporativo è forse caratterizzato che l'ordine dei giornalisti ha una forte interessenza politica. È l'unico ordine per esempio in cui è consentito l'accesso senza uno studio a carattere universitario. E questo in nome di un artigianato che tuttosomatto ha la sua storia, la sua ragione, la sua dignità, la sua importanza. Ma se noi andiamo in Perù, non negli Stati Uniti d'America, per fare il giornalismo non bisogna fare bottega, ma bisogna fare l'Università. Questo non ci garantisce che poi ci saranno bravi giornalisti, ma noi dobbiamo costruire le professioni sui saperi. In questo senso l'ordine dei giornalisti è un problema; anche perché in nome di una volontà di riforma dell'ordine e dell'accesso alla professione, da tutti proclamato, di fatto non c'è nulla. Dietro la voglia di cambiamento del giornalismo e della sua cultura c'è la voglia di difendere quello che è e quello che c'è. Quindi forse dobbiamo prendere atto che non ci muoviamo da questo immobilismo se non diamo un taglio a certe situazioni che nel tempo sono divenute anacronistiche, rispetto alla realtà del mercato e rispetto ad una società che è cambiata radicalmente».

Elisabetta Rizzo

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