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Latina. Imprese e investitori. Gian Domenico Mosco: «Bisogna sviluppare un'etica del mercato e una cultura d'impresa. Come negli Usa»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Gian Domenico Mosco,
straordinario di Diritto commerciale nella Facoltà di giurisprudenza
della Luiss Guido Carli in occasione di un convegno dal tema "Imprese e investitori".
Quanto è importante per un'impresa l'accesso ai capitali di rischio?
«Io credo sia molto importante, perché quando si ha a che fare
con concorrenti di tutto il mondo, il cosiddetto mercato globale,
quando si va all'estero, quando ci si internazionalizza, si ha bisogno
di capitali che l'autofinanziamento e le banche non possono da sole
garantire. Per questo si ha l'esigenza di chiedere finanziamenti più
grandi». È stata messa in dubbio l'esistenza stessa, in Italia,
di un'etica del mercato e di una cultura delle imprese...
«Bisogna essere onesti. L'Italia sta facendo passi da gigante, ma è cento
anni indietro rispetto agli Stati Uniti. La cultura esiste, ma non è così
sviluppata come nei paesi anglosassoni dove la rivoluzione industriale
è arrivata prima e dove oggi abbiamo un capitalismo più maturo. Quindi, la cultura c'è, ma è ridotta rispetto ad altri contesti
internazionali». Nei vostri incontri sono emerse delle parole chiave,
come "autodisciplina", o frasi programmatiche, come "riduzione
dell'interventismo pubblico". Per quale motivo? «Il pubblico va visto
come un male minore. Le imprese vanno sul mercato, prendono dei capitali,
hanno bisogno di regole. Se queste regole se le danno da sole e vengono rispettate non c'è
bisogno dello Stato, i cui interventi rischiano sempre di generare
complicazioni e di essere inadeguati rispetto alle esigenze del libero
mercato. Altrimenti bisogna che il pubblico intervenga. Ricordiamo per esempio
la legge sul risparmio che è una legge che è seguita agli scandali Parmalat
o Cirio».
In queste settimane si è parlato di liberalizzazioni. Quanto per le imprese è
importante un programma di liberalizzazioni serio, visto che nel pacchetto
Bersani abbiamo scoperto che ad ingabbiare l'economia italiana erano barbieri,
taxisti? Se si lavorasse invece su banche, energia, mercato del lavoro?
«In questa università il liberalismo è una parola d'ordine. Ma bisogna
stare attenti a non buttare via il bambino con l'acqua sporca, come dicono
gli inglesi. Bisogna intervenire in maniera ragionevole, in maniera graduale,
senza rinunciare a quello che di buono può esserci, nella regolamentazione
pubblica». Vorremmo concludere con questo: l'innovazione scientifica
e la commercializzazione dei risultati delle ricerche per le imprese
quanto sarebbero importanti? «Io credo che torniamo al tema con cui abbiamo
cominciato. Se ci sono capitali, si fanno investimenti e innovazione.
Le nostre imprese sono uscite dai settori di alta tecnologia e alta innovazione.
Devono tornarci. E per tornarci devono avere risorse ed un mercato tutelato.
Perché se gli investitori non hanno fiducia nel mercato, soldi non ne arrivano».
Elisabetta Rizzo
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