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Latina. Discorsi al popolo di Dio. E pure a tutti gli altri. Dalla Polonia la grandezza di un uomo che si credeva vicario di Cristo...
Soffiava il nuovo vento dell'Est. Soffiava là, dove
era in corso il più imponente e organizzato tentativo
di rinchiudere l'uomo dentro la misura di se stesso.
Soffiava nella terra dei gulag, dove vivere e morire
erano accidenti senza significato, ogni memoria
di antiche libertà era cancellata, diritti e dignità
erano calpestati da un arbitrio senza controllo. Soffiava
quel vento, mosso dal sussulto dello spirito dell'uomo,
schiudendo al respiro dei popoli orizzonti di desiderio
e albori di certezza oltre l'angusto muro costruitogli
con ferocia da un Principe che aveva per ministri
l'Ideologia, la Polizia e il Piano quinquennale.
Quel vento si è fatto forte e impetuoso, ed ha consegnato
alla storia Karol Wojtyla, di cui Rubbettino ha pubblicato
in queste settimane «Discorso al popolo di Dio», a cura
di Flavio Felice, docente alla Pontificia Università Lateranense
e con la prefazione di Rocco Buttiglione. Se una casa editrice
tradizionalmente laica e liberale, come la Rubbettino, la
stessa che ha pubblicato negli anni settanta i classici del pensiero
politico moderno (von Mises, von Hayek, Carl Menge), ci sarà un perché.
Ed il perché lo leggi nella speranza oltre la credenza, nel comune
cercare che ti fa comunque essere compagno di strada di chi pretende
di avere la verità assoluta e di esserne unico e legittimo interprete.
«Se tutta questa ricerca di Dio a cui partecipiamo noi credenti e coloro che
non credono ma desiderano con cuore sincero la verità, e coloro che [...]
non possono trovare pur desiderandolo molto; se tutto questo è una sorta
di misura dell'uomo, della sua verità, della sua grandezza, dal punto di
vista della dignità dell'uomo, dal punto di vista umanistico, è invece
difficile accettare l'ateismo come programma politico. [...]Infatti
si può capire che l'uomo cerchi e non trovi; si può capire che l'uomo neghi;
ma non si può capire che all'uomo si dia l'ordine: non ti è permesso credere.
Se vuoi ricoprire questo o quell'ufficio, raggiungere questa o quella
posizione, non ti è permesso credere o per lo meno non ti è permesso far vedere
che credi. L'ateismo come fondamento dell'esistenza dello stato è incomprensibile
dal punto di vista delle premesse umanistiche. Infatti bisogna avere rispetto
per quello che è nell'uomo. Questa è la condizione primaria di ogni convivenza
sociale e di ogni uguaglianza fra cittadini all'interno dello stato».
Che su questo non si possa tacere è indubbio. E ribadisce poco oltre:
«Non può accadere che un gruppo di uomini, un gruppo sociale, anche se poi
ha altri meriti, imponga a tutta la Nazione un'ideologia, una visione del mondo
che è in contrasto con le convinzioni della maggioranza». Quello che non
possiamo più chiedere a Wojtyla è: bene, ma questo vale solo in Polonia?
O vale anche quando la chiesa mi vuole imporre la sua di visione del mondo?
A me e al parlamento, quando si parla delle unioni civili per esempio,
al mondo scientifico, quando si parla di ricerca, e al dibattito filosofico, quando
si parla di weltanshaung?
Insomma, anche a un laico, anche a un liberale va bene un "Discorso al popolo di Dio".
Si tratta solo di capire di quale Dio. E quale a popolo.
Mauro Cascio
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