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Latina. Lo sciattone, prolegomeni per una sua esatta definizione. Ovvero: il ciuccio presuntuoso che vuole insegnare le tabelline ad Einstein
Mi hanno chiesto di approfondire il termine "sciattone", che ho tanto efficacemente
adoperato in un editoriale su Ego. Ora,
io non sono né il De Mauro,
né il Devoto Oli. Né posso esemplificare con esempi espliciti per non ritrovarmi con
una querela. Diciamo che uno "sciattone" tipo è come Trottolino Amoroso. Uguale.
Gli manca la coda di Minghi,
in compenso fa sempre discorsi del menga. Si è appena chiuso il festival
di Sanremo, il suo è un Festival di canzonette sciocche e di oche giulive.
È un incolto
confusionario, un dilettante pasticcione, un arruffone culturalmente
sciatto. Un eterno amatore che non conosce nemmeno le cose che dice di amare.
Uno "sciattone" per l'appunto, come scrivemmo in maniera che più appropriata
non si può. Un incapace. Formalmente e contenutisticamente inelegante.
Un pezzente.
È un parvenu che tende naturalmente all'improvvisazione e alle sciocchezze.
Un ignorante, un eterno frustrato col diplomino tecnico in tasca che ama mettersi
sullo stesso piano degli accademici, esponendosi al ridicolo
senza nemmeno rendersene conto.
Uno che ad Einstein vuole insegnare le tabelline. La relatività? Un'osservazione
banale come dire che il sole sorge. L'importante è saper far di conto.
Einstein come lo avrebbe trattato? Come un mentecatto. Appunto.
Lo sciattone è un asino. Uno che, quando va bene, ha una cultura da edicola,
da quarta di copertina. Se lo inviti a "La servetta di Talete", la trasmissione
del sabato di Tele Etere, a fare la lezioncina magistrale ne sa meno della servetta
e finisce che la puntata la devi registrare da capo, invitando un altro.
È un arringapopolo balbettante, e si sa: il popolo è bue e per questo sa riconoscere
i somari. Figuriamoci in Italia dove ci piace 'o presepio.
E lui ha persino l'aria del somaro, anche se poi si fa crescere
i baffi che sembra a volte Taz, il diavolo della Tasmania.
Un pataccaro, sì, ma tanto i titoli di legittimità crede
di poterseli comprare poi su ebay. Con la finta umiltà di chi si fa stampare
dalla tipografia il dott. prima del nome e poi lo cancella con la penna.
La differenza è che lui non è dott.
È solo
un pulciaro con l'egotismo
di un premio Pulitzer. Pretende che gli altri lo adorino come un Moloch e che
abbiano la personalità di un formaggino, siano un soprammobile
che dove li posi stanno; nemmeno un pendant di classe, ma un arredo ordinario
di una stanza da Ikea. Sta a suo agio così, almeno emerge. Si sente una femme fatale in latex
ma è Rosy Bindi in tailleur. Si sente una Guinness ma è una Tourtel. Si sente
un Cohiba ma è una Nazionale senza filtro. Si sente Rudolf Steiner ma è Padre Fedele.
È emarginato da tutti, per la sua incapacità
a 360°, e per questo cova quotidianamente il suo orticello di invidia.
Che cura con una pratica certosina e meticolosa. Crede di poter dire la sua su tutto,
e di essere interessante. È un fallito
che s'è fatto il deserto intorno. Un Re Mida al contrario,
che rovina tutto ciò che tocca. Aggiunge errori e confusione
per metterci del suo. Ha un'esistenza piatta e grigia senza sussulti,
senza emozioni se non quella sua rabbia sorda e disperata, l'unico
suo sentimento genuino che lo distingue da una pianta.
Riesce ad essere divertente solo quando non vuole. Quando fa lo spiritoso,
e lui si sente Woody Allen, è banale quanto una suocera, noioso quanto
una moglie in pantofole e inconsistente come una bacchettina d'incenso.
Mauro Cascio
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