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Latina. Le Verità, il Linguaggio e il Trans. Ovvero: le Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero. Che con Sircana fanno undici...
«La storia della verità, un concetto che già di per sé nega ogni
statuto assoluto – l'assoluto non ha storia – spazia dalle
favole più dogmatiche, "rivelate", allo scetticismo più estremo e alla
mossa modernista, già implicita nello scetticismo classico,
secondo cui "qualsiasi cosa va bene"». Così George Steiner in
"Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero".
«Per quanto sia conseguente, per quanto sia scrupoloso nel
proprio autoesame, un atto di pensiero può postulare il proprio
accesso alla verità soltanto laddove il processo è tautologico,
laddove il risultato è un'equivalenza formale, come in matematica
o nella logica simbolica. Tutte le altre asserzioni di verità,
che siano dottrinali, filosofiche, storiche o scientifiche,
sono soggette a errore, falsicabilità, revisione e cancellazione.
Come le "superstringhe" della moderna cosmologia, le "verità"
vibrano in dimensioni molteplici, inaccessibili a ogni prova definitiva
(in realtà non c'è alcuna idea chiara riguardo a che cosa potrebbe
costituire una simile "prova"). Il pensiero esistenziale, i procedimenti
del pensiero nella vita quotidiana e intellettuale non possono
"aprirsi un varco" verso alcun regno di verità autoevidente,
incontrovertibile, eterno. Tuttavia è proprio questi regno che
i credi rivelati, le metafisiche di un Platone, di un Plotino o
di uno Spinoza, promettono e si sforzano di ottenere. Così, nel
pensiero astratto, nei metodi epistemologici, risuona un basso
continuo latente di nostalgia, un mito edenico di certezze perdute
(lo avvertiamo, con una viva integrità, in un pensatore come Husserl).
Pensare è non essere all'altezza, è non "far centro". Al meglio,
il pensiero genera quello che Wallace Stevens chiamava "finzioni supreme".
Einstein si sarebbe espresso in maniera diversa: "Il principio creativo
risiede nelle matematiche. In un certo senso, quindi, ritengo sia vero
che il pensiero puro può comprendere la realtà come avevano sognato gli antichi
(dove "avevano sognato" potrebbe essere un lapsus più che freudiano). Gli replica
uno dei più autorevoli cosmologi di oggi: "Persino all'interno del dominio elementare
delle equazioni elementari, la nostra conoscenza sarà sempre incompleta".
Più si fa intensa la pressione del pensiero, più il linguaggio che la contiene
oppone resistenza. Il linguaggio, per così dire, si ribella all'ideale
monocromo della verità. È saturo di ambiguità, di simultaneità polifoniche.
Si compiace delle sue fantasticherie, costruisce speranza e futuro senza alcuna
garanzia. Forse è questo il motivo per cui le scimmie antropomorfe hanno esisitato
a svilupparlo. Gli esseri umani non ce la fanno senza quelle che
Ibsen chiamava le "menzogne vitali". Un pensiero limitato a proposizioni logiche, che si esprimerebbero
al meglio non verbalmente, o a fattualità dimostrabili, sarebbe la follia.
La creatività umana, la capacità vivificante di negare i diktat dell'organico per dire
"no" persino alla morte, dipende completamente dal pensiero, dall'immaginazione
controfattuale. Inventiamo modi alternativi di essere, altri mondi - utopici o infernali.
Re-inventiamo il passato e facciamo "sogni anticipatori". Ma per quanto siano
indispensabili, magnificamente dinamici, questi esperimenti mentali sono e rimangono
finzioni. Nutrono religioni e idelogie, la libido ne è ricolma ("i lunatici, gli amanti
e i poeti" di Shakespare). Il linguaggio tenta costantemente di imporre il proprio
dominio sul pensiero». E questa frustrazione, questa ricerca senza esito della verità
è una delle ragioni della tristezza del pensiero.
PS. Che poi a me m'è calata la tristezza con questa storia del Trans, di Sircana e dei
beati cazzi suoi (in tutti i sensi). Ma vi pare che debba render conto alla gogna
dei media? Pure a me mo m'è venuta la voglia di andare a Trans. Per dispetto. Quasi quasi stasera
faccio un salto a Marconi. Se mi fanno la foto, non mi rompete. Io ve l'ho detto prima.
Mauro Cascio
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