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Roma. Un cuore semplice. E dalla platea del piccolo Eliseo: «Questo sì che è recitare». Maria Paiato: «Mi sono emozionata...»
Davanti le Telecamere di Parvapolis Maria Paiato. “Brava! Questo sì che è recitare!”, prorompe piena di ammirazione una signora alla fine del lungo monologo “Un cuore semplice” – un’ora e trenta sulla scena- che Maria Paiato interpreta tutte le sere fino al 22 aprile al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma. Fragorosi applausi e numerose chiamate in scena da parte di un pubblico rapito: l’attrice veneta che da anni vive a Roma sta diventando un piccolo fenomeno da palcoscenico, gli spettatori scoprono un feeling straordinario con la mingherlina ma tenacissima artista che si fa paladina della gente comune, e che ogni sera alita sulla scena sentimenti di vita semplice e quotidiana, interpretando alla perfezione gesti di profonda sensibilità che solo le persone pure, non contaminate dalla bramosia del potere, del successo, della sfrenata ambizione e del calcolo personale, sanno reclamare con dignità. “Ti ringrazio perché tu dai voce a chi non ha voce”, le snocciola un’altra sera una donna con commozione. Sempre, alla fine della sua performance, è un accalcarsi di nuovi ammiratori davanti al camerino, molti dei quali con gli occhi lucidi che vogliono complimentarsi con questa schiva antieroina. Ma non indulge assolutamente nei sentimentalismi triti Maria Paiato. E non succede spesso che un lungo monologo venga così entusiasticamente accolto a teatro; tutto ciò è la sintesi di un’assoluta padronanza dei mezzi espressivi e soprattutto di una piena adesione morale nei confronti del personaggio incarnato, frutto tra l’altro di un rigoroso studio. La modulazione della voce, i gesti, il movimento del corpo testimoniano di un talento oggigiorno sempre più raro a teatro, e di una piena maturità artistica in 24 anni di serio lavoro. Dopo il successo di “Cara professoressa”, di “Maria Zanella” e de “Il silenzio dei comunisti” con i quali ha inanellato premi, “Un cuore semplice”, tratto dal racconto di Gustave Flaubert, è il bilancio conclusivo di Felicitè, un’umile domestica francese, la cui vita, scandita dalla dedizione verso il prossimo, da piccole felicità e da tanti dolori, è stata vissuta con pienezza di sentimenti e, soprattutto, con lo spessore di una grandissima dignità. Le semplici ma efficaci musiche di Marco Schiavone evidenziano i singoli quadri drammaturgici con sapienza, evocando nello spettatore quei sapori, profumi, luci, suoni e voci del microcosmo soggettivo, restituendo l’effettiva semplicità agreste della protagonista. Le scene di Francesco Ghisu, i costumi di Sandra Cardini, le luci di Marcello Montarsi, la regia di Luca De Bei mettono a proprio agio le qualità espressive di Maria Paiato che, nei panni di Felicitè, esprime con rara efficacia i sentimenti di dolore, rabbia, piccole gioie e soddisfazioni ma soprattutto amore di una semplice donna di villaggio che con il suo esempio di vita dà lezione a tutti noi.
Claudio Ruggiero
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