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Latina. Natura madre o matrigna? Appunti sparsi contro un'idea feticisticamente ambientalistica. Viva le villette a schiera sulla duna
C'è questo luogo comune che si aggira come un fantasma per le stanze del senso. Che dobbiamo rispettare
la natura, che la natura è bella, che questo o quello ha un valore perché è "naturale",
sulla natura c'è chi ancora fonda persino un diritto, che è quasi sempre odioso,
razzista e medievale ma che trova fondamento e legittimità proprio per questa sua naturalità.
Addirittura ci hanno fatto pure un partito.
Non che non mi piaccia la natura, ma da qui al culto ce ne corre. Da qui a mettere in ombra
lo spirito dell'uomo pure.
C'era Hegel che diceva che solo l'arte ci dà la bellezza davvero libera, cioè eternata,
cioè svincolata dall'esistenza finita. L'arte sta "più in alto dell'immediato presente",
perché il vivente porta in sé il germe della morte. Ecco perché Hegel può dire nella sua
Estetica che il cielo stellato è solo un'eruzione cutanea della volta celeste o che il
pensiero di un delinquente, come prodotto dello Spirito, vale di più di una bella cosa
della natura. Un pensiero di Angelo Izzo o di Andrea Ghira vale più del Circeo.
Anche attraverso la lettura di Spinoza, Hegel ha appreso che la natura non ha scopo per l'uomo.
Non è né madre, né matrigna: è soltanto indifferente. L'uomo ne cambia il ruolo ma non le leggi.
Così si innalza al di sopra di ogni condizionamento e gode dell'idea della propria libertà nel momento
stesso in cui sembra insidiata e minata. In ragione della sua acidità, il presame o caglio -
tolto dallo stomaco dei vitelli e inserito nel latte - provoca la coagulazione di una parte
solida e la separazione del siero. La natura non aveva tuttavia di mira il formaggio come
prodotto finito, il cui beneficio è destinato agli uomini. Così come il fiore di genziana
cresce spontaneamente in alta montagna, ma questo non autorizza a istituire alcuna relazione
intrinseca tra la pianta e la preparazione del liquore, opera dell'invettiva e del lavoro
dell'uomo. Scrive Hegel nel suo "Diario di viaggio sulle Alpi bernesi": «Dubito che anche
il teologo più credulo oserebbe qui, su questi monti in genere, attibuire alla natura
stessa di proporsi lo scopo della utilità per l'uomo, che deve invece rubarle quel poco, quella
miseria che può utilizzare, che non è mai sicuro di non essere schiacciato da pietre o da valanghe durante
i suoi miseri furti, mentre sottrae una manciata d'erba, o di non aver distrutta in una notte
la faticosa opera delle sue mani, la sua povera capanna e la stalla delle mucche».
Diamo allora a tutto un limite, senza la demagogia e la retorica degli ambientalismi
e dei feticismi verdi.
Poi prendi me. Io sono uno che rispetta gli animali. Ma già i piccioni hanno
un difetto insostenibile ad una pacifica convivenza, per esempio. Cacano.
O si danno appuntamento tutti sul mio balcone o la fanno dove capita
capita. Che fai? Gli metti un tappo in culo a tutti? Io ho tentato di educare mio figlio
alla fionda. Gliel'ho pure comprata. Il problema non è di etica, o di morale. Il problema
è altrove. Il problema è la mira. Non ci coglie. I viali alberati non mi piacciono. Neppure la
duna. Preferisco le villette a schiera lungo il mare, alla duna.
Agli alberi preferisco
le prostitute. Tornando da Roma, su via Piave, vuoi mettere una fila di albanesi e di rumene
ambo i lati? Uno manco ha fretta di tornare a casa. Fa piano piano. Se la gode. Socializza.
È un piacere estetico. O sull'Epitaffio. Vuoi mettere una bella ragazzetta scosciata?
Te pare che preferisci un pino o un eucalipto che poi magari ci vai pure a sbattere sopra
e ci rimetti le penne? Che mi frega a me delle fasce frangivento. Mi tengo le trombe
d'aria, ma in cambio datemi le professioniste dell'est.
Mauro Cascio
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