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Latina. L'Agonia del Cristianesimo e l'Esistenzialismo. Domani al Gran Caffé San Marco serata filosofica con Mauro Cascio e Domenico Cambareri

Serata di filosofia domenica sera alle 20.00 al Gran Caffé San Marco di Latina, in corso della Repubblica. Tema dell'incontro, relatori Mauro Cascio e Domenico Cambareri, sarà "L'Agonia del Cristianesimo e l'esistenzialismo", un modo anche per riflettere sul "dolore della scissione" nella sinistra hegeliana e sulla figura di Miguel de Unamuno di cui la Rubbettino, nella collana diretta da Cascio con Massimo Iiritano, la Compagnia de Galantomeni, ha recentemente pubblicato "Inquietudini e meditazioni" (a cura di Elena Cellini e con la prefazione di Armando Savignano, docente di filosofia morale all'Università di Trieste). C'è infatti qualcosa che unisce il percorso culturale che Mauro Cascio ha chiuso con l'Autocoscienza e la posizione esistenzialista del filosofo spagnolo, ed è quello che gli hegeliani chiamano "negativo", cioè quell'essere prigionieri della finitezza che gli idealisti tenteranno di risolvere con la "dialettica" e con la "mediazione". Ma quello che affascina è anche la figura, qualche volta solitaria, spesso scontrosa, del "ricercatore", libero da schemi, libero persino di contraddirsi, per dare un senso all'esistere. «I più inquieti, i più sognatori, i più scontenti e incontentabili dopo alcuni anni di bohème spirituale, di disorientamento, sentono che l’anima ingrassa, si riempie di grasso e adiposità, respirano a fatica e cercano solo riposo. Diventano, in una maniera o nell’altra, conservatori. E qui, è già noto, divenire conservatore è divenire quiescente. Il mondo farà da sé, lasciamolo girare», scrive Unamuno. «Questa grossolanità è la mia ossessione. Essendo io nel quarantottesimo anno della mia vita, mi si permetterà, di avere ossessioni e di ripetermi. Anch’io sono entrato nella fase dell’autoplagio. Lasciate che mi occupi del tema della grossolanità. Con quale velocità e quanto s’involgariscono qui gli ex giovani, mio Dio. È una cosa che spaventa. [...] Questo fatto della rozzezza è una forma dell’arteriosclerosi di cui si parlava, il frutto della stanchezza prematura, il triste raccolto di una giovanile bohème spirituale. [...] Ma c’è anche chi, grazie alla sua costanza, al suo eroico temperamento chisciottesco sprezzante delle burla, ringiovanisce. E uno di essi è proprio colui che ricordavo poco fa. Quando si crede di conoscere se stessi, è allora che si comincia a scoprirsi. [...] Felice per chi trova il proprio cammino! Eppure la maggior parte di quelli che conosco, la maggior parte di quelli che partirono con me alla conquista del vello – non d’oro, ma di foglie secche -, la maggior parte di quei bohémiens dello spirito, non hanno trovato il proprio cammino, ma si sono seduti sulle proprie esperienze e lì riposano senza sperare nulla. Sono disillusi nel profondo dell’anima, nauseati, sfiniti dalla lotta. Noi altri – e siamo la minoranza, davvero pochi, veramente pochi – proseguiamo nella bohemia, continuiamo a cercare senza la speranza di trovare. Assaporiamo l’acre incanto di errare all’avventura per i campi del pensiero, senza avere una propria dimora. Bussiamo alla porta di ogni sistema, di ogni scuola, di ogni setta, e passiamo la notte in quella che si apre, e la mattina al salir del sole riprendiamo di nuovo la marcia, sotto il cielo, per riposarci in nuove dimore. E molte notti all’aria aperta, sotto la costellazione della Sfinge. Ed è in queste notti che si fortifica il cuore».

Elisabetta Rizzo


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