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Latina. In nome di Hina, contro il tabù della sottomissione patriarcale. Attraverso la donna, affermiamo i valori della laicità...
Dounia Ettaib, vicepresidente dell’Associazione Comunità Marocchina delle Donne in Italia (Acmid), è stata assalita a Milano nelle vicinanze della moschea di Viale Jenner. Due giorni prima (29 giugno), a Brescia, c’era stata l’udienza preliminare del processo per l'omicidio di Hina Saleem, la giovane pakistana che voleva vivere all’occidentale, e per questo l’11 agosto 2006 era stata sgozzata dal padre, Mohammed Saleem. Il 29 giugno, Dounia Ettaib aveva guidato la manifestazione sotto le aule del tribunale di Brescia per rivendicare con forza il diritto delle donne (respinto purtroppo dai giudici) a costituirsi parte civile al processo Saleem. A favore di Hina. Per rompere il cerchio di omertà patriarcale delle comunità di immigrati, dove, troppo spesso e nel silenzio domestico, si consumano violenza e sopraffazione contro le donne. Gli integralisti non hanno gradito l‘attivismo di Dounia Ettaib: «Devi smetterla di parlare di islamismo... Hina è un prostituta come te » le hanno detto due connazionali strattonandola e spingendola contro un muro. Ed uno dei due, stringendole il viso tra le mani, ha aggiunto: «la bellezza non dura a lungo...». Forse per evocare nella sua mente l’immagine delle disubbidienti, sfigurate per punizione con l’acido? La paura è tanta, ma la coraggiosa laeder dell'Acmid, non se ne fa travolgere. Ha denunciato l’aggressione subita ed ha dichiarato ai media che non demorderà nella battaglia contro l’integralismo islamico. In nome di tutte le donne. Per porre fine ad ogni sopruso e violenza. Evidentemente, è in atto un irreversibile processo di emancipazione delle donne extracomunitarie. E finalmente rimette in discussione anche semplicistiche ed idilliache politiche della multicultarità di casa nostra, che nella pretesa di salvaguardare prioritariamente l’appartenenza identitaria del gruppo, non si rendono conto di quanto favoriscano l’omologazione integralista. A scapito di ogni legittimo processo di emancipazione individuale. Quello che è costato la vita a Hina Saleem. E che le donne musulmane ormai esigono creando associazioni come l’ Acmid. Queste donne di diverse generazioni, fuori dell’aula del tribunale di Brescia, assomigliano alle donne italiane degli anni settanta, che prendevano coscienza dell’importanza della dimensione pubblica delle loro richieste libertarie. E gridavano di farlo per loro.... per le figlie...per una società migliore per tutti....
Dopo aver ascoltato e visto le donne islamiche a Brescia, gridare le stesse cose, tutti devono prendere atto che la catena del clan identitario si è rotta. Proprio attraverso le donne, ancora una volta, passa la possibilità del riscatto umano per sperimentare e costruire individualmente l’appartenenza ad uno Stato laico e democratico. Per questo anche le donne musulmane chiedono all’Italia di essere tutelate e difese. Anche in opposizione e contro usanze tribali che le vorrebbero sottomesse a padri, fratelli, mariti. Le loro voci di Brescia sono già storia.
Dalla loro parte, insieme alla società civile, l'imam di Torino, Abdellah Mechnoune: "Hina è solo vittima dell'ignoranza di suo padre, una persona chiusa caricata da altri, che ha subito gli insegnamenti di fanatici integralisti. Dobbiamo dire no alla violenza e no all'integralismo islamico; la cultura occidentale è una cultura aperta e democratica ed è la stessa del vero islam. Non esistono infedeli, solo cittadini."
Una grande lezione sulla strada dell’autodeterminazione degli individui. Soprattutto se donne.
Maria Mantello
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