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Latina. I panini di Pacchiarotti. Piccolo viaggio in una memoria che non riesce a dimenticare affetti, visi, voci. Pronta a inchiodarti alla nostalgia
Io sono di un nostalgico da allarciarsi le cinture pure da fermi. Riesce a mancarmi di tutto.
Pure il televisore in bianco e nero in cucina dove i miei mi spedivano la domenica quando
volevo vedere Drive In e io mi sdraiavo su quattro sedie. La tivvù in sala, quella a colori, era loro dominio
assoluto. Proprio come adesso. C'è Naruto in sala e se mi voglio vedere il tiggì mio figlio fa
sloggiare sempre me. Deve essere il karma. Non ho mai avuto un controllo del televisore.
Forse per questo ho cominciato a studiare filosofia. Sia per interrogarmi sulle ragioni più profonde.
Sia perché la filosofia la studi sui libri e quelli, in teoria, da sotto non te li sfila
nessuno. Ma dicevo che la tivvù in bianco e nero mi manca. Come mi manca il Drive In.
Come mi manca Tinì Cansino, una delle mie cotte pre-adolescenziali.
Mi accorgo che tante persone che amavo, oggi non ci sono più, o non fanno più quello che
facevano. Savioli non ha più l'edicola in piazza del popolo e questo mi butta addosso
una tristezza infinita. Uno dice: ma che, non può andare in pensione? No, lui no.
Savioli ha il dovere sociale di essere sempre lì. Perché io lì ho i miei ricordi,
perché i primi giornaletti porno, bruciando di vergogna, li chiedevo a lui. E lui
non me li dava. Ho aspettato i diciotto anni con malignità per poterglielo intimare
di darmeli. Da lui ho comprato i giornali imbottiti, che sono quotidiani normali di fuori,
solo che dentro hanno la cassetta vietata ai minori. Mi ci sono costruito buona parte
della mia videoteca con Rossana Doll, che era la mia attrice preferita all'epoca.
Quella che ha sostituito Tinì Cansino.
Con Teresa mi è andata un po' meglio. Da lei mi compravo la pizza ogni volta che avevo
qualche spicciolo in tasca. Qualche volta erano talmente pochi gli spiccioli in tasca
che lei mi prendeva per il culo: "Con quello ti ci viene la carta".
Solo che poi in mezzo la pizza me ce la metteva. Mia nonna ha comprato il calzone da lei per almeno trent'anni. Tutte le sante domeniche.
Se una domenica saltava Teresa si preoccupava: "Come sta tua nonna?".
Quando Veronica, che credo sia la figlia, o la nuora, ha preso il suo posto io sono stato di malumore per un fine settimana. Ma come si permette
questa, ma chi la conosce? Non si ricorda di quando ero piccolo io, non si ricorda
delle strisce di pizza, non si ricorda dei calzoni di mia nonna, ma cosa vuole qui?
Ma si aprisse la pizzeria a Bari. Qualche settimana fa ho rivisto Teresa al suo posto,
col marito al suo posto. Li ho salutati e mi stavo mettendo a piangere. «Non ce la facevano
a fare i pensionati», m'ha detto non mi ricordo chi. E io sono corso in piazza per vedere
se era tornato pure Savioli. Ma Savioli non c'era. Un altro che mi manca è Pacchiarotti.
Da lui è cresciuta una generazione. Come sentivamo Pacchiarotti ci veniva fame.
Un riflesso condizionato. Come i cani di Pavlov. Faceva i panini più buoni del mondo.
O almeno così mi ricordo, non è che poi all'epoca uno girasse il mondo per provare a inculare
Pacchiarotti. Non c'era manco il Maresciallo. E nemmeno la Pucceria. C'erano i suoi cazzetti
d'angelo, wurstel di suino credo, fatti alla griglia che sentivi già l'odore quando infilavi
via Duca del Mare. Alle 19 in punto. La fila cominciava alla Sip. Perché all'epoca non
si chiamava ancora Telecom. C'erano ancora i gettoni, le cabine erano grigie e gialle
e il cellulare era solo il furgone con cui si trasportavano i detenuti.
Un giorno Pacchiarotti se ne andò. Quel giorno pioveva. Non so perché ma quando
ci sono giornate storte fuori è sempre brutto tempo. Non mi è mai capitato di essere
triste col sole fuori. Non sono mai riuscito a sostituirlo Pacchiarotti. Pian piano
l'ho dimenticato. Appunto col Maresciallo. Con la Pucceria. Con il McBacon
di McDonald's. Con il Kebab. L'altra volta l'ho visto. Ha i capelli un po' più lunghi,
ma non è cambiato quasi per nulla. Pare che il tempo per lui si sia fermato. Stava
facendo la spesa. L'ho visto uscire con le buste in mano. Non l'ho riconosciuto
subito. Ci ho messo un po'. E m'è venuta fame.
Mauro Cascio
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