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Latina. La memoria condivisa e le Fosse Ardeatine. Mario Leone: «Diamo dignità ai fatti e lasciamo la storia alla sua oggettività»

Dispiace leggere sulla prima pagina dell'edizione del 15 agosto scorso del quotidiano Latina Oggi come il suo editorialista (con lo pseudonimo di Historicus) abbia preferito inchinarsi davanti alla ideologia piuttosto che alla Storia. Senza nulla togliere alla libertà di espressione che l'editorialista con puntualità sviluppa sul quotidiano, bisogna qualche volta, rendere omaggio ai fatti al di là del bene e del male, andando oltre ogni pur minimo sospetto che le "idee" possano alterare quei "fatti" sui quali la mente dell'uomo, col tempo, interviene a modificarne la genesi. L'editoriale di Historicus termina con l'affermazione - questa sì incredibile - che sia una "balla" quella "di raccontare che i 335/340 martiri delle Ardeatine furono consegnati dai fascisti ai tedeschi. Occorrerebbe proprio finirla con le menzogne nella Storia. I 335/340 martiri se li trovarono e se li presero tutti i nazisti. I 50 martiri della lista del Questore Caruso erano tutti partigiani o aspiranti tali e quindi quella lista fu uno dei tragici atti di guerra civile. Se si vuole veramente arrivare alla memoria condivisa finiamola con le balle nella Storia e sulla Storia". Purtroppo - come ho affermato in premessa - i fatti hanno un aspetto complesso e l'ideologia professata rischia di estorcere una fatto (mezzo vero, incompleto o alterato) alla Storia. Le Fosse Ardeatine rappresentano una rappresaglia all'"atto di guerra" dell'attentato di via Rasella in Roma del marzo 1944, un ordine partito da Hitler di sacrificio estremo; inizialmente prefissato di 50 ostaggi per ogni tedesco ucciso, ma poiché neanche in Russia si era mai superato il rapporto di 10 a 1, si preferì quest'ultima soluzione. Come ricorda la Storia la Convenzione dell'Aia del 1907 e la Convenzione di Ginevra del 1929 soffermandosi sul termine di "rappresaglia" ne limita l'uso ai criteri della "proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita e della salvaguardia delle popolazioni civili". Non c'è stata alcuna proporzionalità, è evidente - in via Rasella perirono 32 uomini dell'11a Compagnia del 3° Battaglione del Polizeiregiment Bozen e un altro morì successivamente alle ferite riportate -, e vedremo non cè stata alcuna salvaguardia di civili. E' vero che i condannati sommariamente avrebbero dovuto essere scelti tra i partigiani al fine di non includere nella lista rastrellati nell'immediato eccidio di via Rasella; quindi si preferì "attingere" tra gli imprigionati nel carcere di Regina Coeli in Roma, dove - e qui i documenti abbondano- vi erano internati sia membri della Resistenza (appartenenti a formazioni clandestine monarchiche, del Partito d'Azione e Giustizia e Libertà, a Bandiera Rossa),ma anche prigionieri comuni ed ebrei (quest'ultimi circa 75). Per raggiungere il numero prestabilito - rapporto 10/1 - furono inclusi nella lista dei condannati anche tali detenuti comuni e gli ebrei. E' vero che tra questi 50 furono individuati e consegnati ai nazisti dal questore fascista Caruso, comandante della polizia italiana, (isieme a Koch, Bernasconi, Ferrara e La Pera) ed è vero - ma questo non è detto nell'editoriale di Historicus! - vi furono, quindi, anche civili, quali possono intendersi i detenuti "comuni"; non erano tutti partigiani o qualificabili tali, in netto contrasto, e per la seconda volta, con le norme convenzionali internazionali di guerra. Chi organizzò ed eseguì la strage fu Herbert Kappler, ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, non nuovo ad episodi del genere (si ricordi il rastrellamento del Ghetto di Roma nell'ottobre del 1943 e delle torture contro i partigiani detenuti nel carcere di via Tasso). Ben conoscendo - sembrerebbe si possa dire ormai con certezza - l'entità e le modalità dell'atto compiuto i tedeschi, dopo il massacro fecero crollare le cave con mine per (tentare di) nascondere il fatto. Il signor Kappler fu condannato da un tribunale militare al carcere a vita presso quello militare di Gaeta; ricoverato all'ospedale di Roma al Celio per un tumore, nel 1977, riuscì ad evadere ma morì l'anno seguente nella sua casa di Soltau presso Lüneburg in Germania. Mi permetto di chiudere - dopo essermi dilungato - con una citazione ben conosciuta che penso ristabilisca la dignità ai fatti: "se si vuole veramente arrivare alla memoria condivisa finiamola con le balle nella Storia e sulla Storia". Tutto quanto è qui scritto è facilmente e inequivocabilmente documentabile su un qualunque libro di storia, su internet, su riviste di storia. Quanto scritto nell'articolo di Historicus, bé...

Mario Leone


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