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Latina. Quelli che l'arte. Antonio Taormina: «Uso le tele e i colori per raccontare, a modo mio, questo territorio. La sua storia, il suo mito»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS con Antonio Taormina, esponente di spicco della pittura “made in Latina”. Lo intervistiamo davanti alla sua esposizione, direttamente in Corso della Repubblica: sullo sfondo uno sgargiantissimo teorema di dipinti realizzati in tecnica mista (acrilico, olio e tempera su tela). Il suo è quasi un affettuoso e ironico affronto alle seriose, razionaliste architetture del centro storico di Latina, a dimostrazione – senza necessità di tanti ricami retorici – che le opere dei grandi artisti si innalzano su un piano superiore rispetto al concetto di arredamento, rifuggendo dalla mediocre idea secondo cui un dipinto deve intonarsi alla carta da parati, al divano o allo stile di un predeterminato ambiente. Le sue creazioni stanno alle opere di molti altri pittori come una grande griffe di abbigliamento sta alle più modeste sartorie di largo consumo. E un grande pittore lo si riconosce subito proprio dalla adattabilità delle sue opere a qualsiasi scenografia. Ma Taormina fa di più: i suoi dipinti prendono prepotentemente il sopravvento, diventando protagonisti e riducendo a scenografia tutto ciò che sta intorno. L’impatto visivo in Corso della Repubblica è di sovrapposizione dei colori sul candido classicismo delle pareti su cui sono appoggiati, l’armonia è serenamente e impudicamente ostentata, senza tema di offendere o sminuire il decoro che infatti ne risulta miracolosamente e inaspettatamente valorizzato. La consapevolezza di queste potenzialità non diluisce la naïveté dei colori e del disegno, che resta iconograficamente attaccata ai temi che la ispirano. Di Taormina è stato detto già molto, a riprova della fama che lo ha raggiunto in “patria” e fuori. La sua ultima esposizione risale a qualche giorno fa nella attentissima e avanguardistica Germania. Si potrebbe descrivere il suo stile, che è talmente inconfondibile da rendere superflua la firma sulle tele, o porre l’accento sulle linee marcatissime del disegno, che imbastisce e incastona la miriade caleidoscopica di colori intramati in un esuberante collage, o magari si potrebbe ricordare il tema dei suoi celebri “zanzaroni”, ma sarebbe semplicistico oltre che superfluo. Il fatto è che questo artista trova un modo tutto suo per valorizzare il background culturale cui appartiene e da cui – ci tiene a dircelo – proviene. In un clima socio-politico quasi da tabù, lui prende le zanzare, l’urbanistica fascista e la semplicità della vita agricola dei vecchi poderi e ne fa l’emblema della nostra città, corredandola di un’iconografia dignitosa e affascinante, che mescola le sue radici con l’omerico passato dei più remoti prodromi. Ogni città d’Italia ha la sua iconografia e la sua sigla artistica d’appartenenza, ogni centro urbano il suo simbolo. Con Taormina anche le origini e gli sviluppi storici di Latina possono vantare un simbolo. E così, mentre cresce il novero degli artisti che cercano la fama in un “altrove” non meglio identificato (purché sia un altrove…), lui resta e si aggrappa, facendoci uno dei regali più grandi che un artista può fare ai suoi concittadini: un’egida sotto cui tutti possiamo – volendo – recuperare in campanilismo rispetto alle altre realtà locali italiane. Attraverso un anticonformistico sprint da maratoneta, Taormina in pochi anni di attività spezza un tabù durato settant’anni e usa le tele per raccontarsi e raccontarci un mondo fatto di palude, animali da cortile, di edifici pubblici e di globalizzazione. Questo artista subisce influssi eterogenei e multiformi: dall’arte quattrocentesca toscana portata alle estreme conseguenze nell’artificio della botticelliana “Primavera pontina”, ai grandi “luministi” del Cinquecento veneziano del colore, fino alle avanguardie della Pop Art e delle astrazioni coeve in generale. Non si perde la trama del racconto, perché Taormina è un traduttore e un interprete che condivide con noi la sua visione del circostante. E attraverso un’evoluzione sofisticata giunge a raccontarci papa Giovanni Paolo II in un percorso coloristico binario: stesso soggetto trattato su due tele, con colori caldi per uno, in preponderanza freddi per l’altro. Un pendant che si allinea con le usanze del passato e – attraverso un omaggio al celebre “cangiante” michelangiolesco – propone visivamente la moderna, multiforme compenetrazione di culture varie e solo apparentemente inavvicinabili tra loro. Taormina – forse con intenti polemici – vuole energicamente mostrare che l’accostamento di colori tradizionalmente non consono all’universale senso del buon gusto, in realtà produce risultati esteticamente sorprendenti, così come accade – o dovrebbe accadere – nella moderna società multirazziale e così come dimostra la realtà latinense, fatta di provenienze lontane e diverse che rendono unico il nostro contesto abitativo.

Sara Fedeli

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