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Roma. Unamuno, Inquietudini e meditazioni. Armando Savignano: «Lui diceva: "io non vendo il pane bello e fatto. Io voglio vendere il lievito"»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Armando Savignano, ordinario di Filosofia Morale all'Università di Trieste e massimo conoscitore del pensiero di Unamuno in Italia. A Roma, ieri sera, presso la sede locale della Rubbettino si è presentato il testo di debutto della Compagnia de Galantomeni, la nuova collana di Filosofia della Religione diretta da Mauro Cascio con Massimo Iiritano: "Inquietudini e meditazioni" di Miguel de Unamuno. Lei ha curato la prefazione, quali sono i contenuti di quest'opera e soprattutto chi è Miguel de Unamuno? «È un'opera che lascia inquieti, e questa è la cosa più interessante. La sua idea era quella di mettere in crisi in lettore. Lui aveva questo obiettivo: sostanzialmente creare inquietudini, creare problemi in chi lo ascoltava, in chi lo leggeva. E tuttosommato bisogna dire che c'è riuscito, perché tutti i suoi scritti lasciano tanti interrogativi. Lui faceva un esempio simpatico: io non vendo il pane bello e fatto, io vendo il lievito. Il pane lo deve fare il lettore. Tutti i suoi libri, anche questa prima edizione in italiano di "Inquietudini e meditazioni", hanno molto lievito, senza ricette preparate, in modo che poi ognuno possa trovare la risposta da sé. Non è come al supermercato, il prodotto dipende da chi lo legge. Unamuno è come un pungiglione, no? Mette dubbi. È un uomo del dubbio. Un dubbio retorico, non relativistico: la soluzione c'è, solo che lui non la dava. Ciascuno, avendone gli strumenti, poteva cercarla». Ma i pensieri, le inquietudini di Unamuno possono essere anche i pensieri, le inquietudini dell'uomo moderno? «Sicuramente sì. Unamuno è un pensatore inattuale, da questo punto di vista. Unamuno pone tutta una serie di problemi che sono all'ordine del giorno, allora come oggi. I problemi rimangono. Questa nuova collana, come lei ha sottolineato, è di Filosofia della Religione. Lui poneva un grande problema. Lui cosa sosteneva, in un altro celebre testo? Tutti mi vogliono inquadrare: tu sei ateo, musulmano, cattolico. Io non sono nulla di tutto questo. Però sono un uomo religioso, perché cerco il senso della vita. Chi cerca il senso della vita è un uomo religioso e chi non cerca questo è come un animale. Per tutto il rispetto per gli animali. La gente voleva incasellarlo. Tu dove ti metti: qui o lì? Sei questo o quello? Lui diceva: io mi metto in chi si pone un grande problema, la vita ha un senso o non ce l'ha? Questa domanda cerca una risposta in una religione. Quale? Ce ne son tante. Non è importante saperlo, ci dice Unamuno. L'importante è porsi, in modo forte, la questione. È questa è una cosa molto interessante. Anche qui, non c'è la soluzione. Ognuno se la deve cercare per sé. Per lui non è importante come ti etichetti, ma se hai o no un senso della vita. Ecco, questo era Unamuno». Ci permetta questa domanda: lei è religioso e in che senso? «Questa ricerca di senso non può avere che una risposta religiosa e prima o poi tutti gli uomini finiscono per interrogarsi. Non è importante la risposta, è fondamentale, per me, porsi la domanda. Chi non se la pone, dice Unamuno, non è neanche un uomo».

Elisabetta Rizzo

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