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Latina. Pennacchi lettore di Unamuno. «Il suo più grande messaggio è quello morale. Ed è attuale la critica al degrado della politica...»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Antonio Pennacchi, alla Libreria Mondadori per uno degli eventi culturali più "particolari" degli ultimi tempi. Una lettura provocatoria, un confronto, tra Miguel de Umanuno, recentemente riproposto nella Compagnia de Galantomeni, la collana di filosofia della religione diretta da Mauro Cascio per Rubbettino con Massimo Iiritano, con il suo "Inquietudini e meditazioni" (curato da Elena Cellini con la prefazione di Armando Savignano) e Pennacchi che oltre ad essere l'intellettuale più rappresentativo del nostro territorio, è ormai anche un autore di fama internazionale, dopo il successo, in Francia, del suo romanzo e del film di Luchetti con Scamarcio e Germano Mon frère est fils unique. Una Mondadori piena come un uovo, con la gente seduta per le scale, ed un primo piano "ingolfato" nella speranza di poter salire di sopra. Più che un evento culturale sembra un evento mondano. Uno degli intellettuali spagnoli più importante del novecento, ed un grande scrittore ideologicamente schierato dall'altra parte. Eppure per quale motivo ha deciso di affrontare questa "lettura"? «Io non lo volevo presentare. Io dovevo solo dei soldi a Mauro Cascio. Lui m'ha detto: me presenti sto libro e annamo a pari. E io l'ho fatti». Un motivo esclusivamente venale... «Esclusivamente venale». Eppure sappiamo dalla sua "lettura" che sono tante le cose che di questo libro l'hanno incantata, al punto che ha detto che forse Mauro Cascio non lo sa, ma ha pubblicato il più bel libro di Unamuno... «Sì, Unamuno può non piacere, ma è un grosso intellettuale. Faceva l'outsider, ma era ben inserito nel gotha della Spagna culturale del suo tempo». E la sua presentazione ha incantato per un'ora e mezza il pubblico presente... «E che ragionamenti sono? Io mica sono un peracottaro. Io per la parlare di Unamuno me lo devo studiare. E me l'ero studiato per bene. È vero che sono di Latina. Ma non sono un peracottaro». Da non peracottaro cosa possiamo dire di "Inquietudini e meditazioni"? «Oh, io questo a Mauro Cascio glielo avevo detto prima. Quando io parlo lì è una performance. Quello che devi riproporre piglialo da lì. Perché me devi veni' a fare l'intervista?». Perché così facciamo capire qualcosa alle tante persone che in questa sala stracolma non ce l'hanno fatta nemmeno a entrare... «Sì, ma se questa serata è stata fantastica, è perché io il meglio l'ho dato là. Adesso sono tutto spompato. Ahò, a Mauro, noi siamo andati a paro con la presentazione. Mo se me vuoi fa' parlare ancora me devi da paga'». Antò, qui però ci sto io, non Mauro. Una pillola su sto Unamuno la vogliamo dare. Tu hai letto, contraddetto, interpretato... «Quello che entusiasma è la confusione. Unamuno è tutto e il suo esatto contrario. Ma queste idee, e questo colpisce, le esprime molto bene. A differenza di molti che non sanno nemmeno scrivere». Lei si è soffermato non tanto sull'Unamuno esistenzialista, quanto sull'Unamuno politico. Quello che la convince di meno. Ma c'è una cosa che invece la convince di Unamuno: il suo senso sociale del dovere. «Certo. Chi scrive, l'artista, il pensatore, fa sempre politica, pure se non è iscritto ai partiti. Quando scrivi agisci sulla vita reale. E il messaggio più bello e importante di Unamuno è questo: il suo messaggio e la tensione forte per la morale. E per il lavoro. Inteso non come sofferenza. Uno deve fare quello che gli piace. E lo deve fare al meglio. Solo nel lavoro c'è la nostra salvezza e la costruzione della nostra esistenza. Noi non sappiamo perché stiamo su questa terra. Noi non sappiamo se c'è Dio o non c'è Dio. L'unica cosa che sappiamo è che ci siamo e l'unica cosa che possiamo fare per nobilitare questa nostra presenza è svolgere la nostra funzione fino in fondo nel contesto sociale, senza mentire mai, né agli altri né a noi stessi». Senza fare "cinematografo", per citare pagine molto belle proprio di "Inquietudini e meditazioni"... «Esatto. La realtà va vissuta per quel che è. Anzi, bisognerebbe fare il cinema come la realtà». Lei però ha parlato anche di una grande attualità politica di questo testo unamuniano in particolare... «C'è una critica al mondo della politica che torna tutta con grande freschezza. Il finire dell'Ottocento è un periodo di grande oscurità per la Spagna. Il buio. Il periodo che precede la guerra civile, il colpo di Stato franchista. Decine di migliaia di morti sterminati. E in quel periodo pervade il mondo della politica, o meglio: del "personale" politico, un impoverimento totale. Il teatrino del "mi dimetto", "non mi dimetto" è tale e quale alla politica nostra di oggi».

Elisabetta Rizzo

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