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Cultura al classico. Perennità e attualità della tragedia greca

Capita spesso, quando un argomento esce fuori dalle aule accademiche, che resti inascoltato o, comunque, che desti l'insofferenza e la tediosità. Se poi si parla di tragedia greca, soltanto gli addetti ai lavori ne risultano interessati. Non è andata così nell' Auditorium del Liceo Classico "Dante Alighieri" di Latina dove ieri si è parlato per oltre tre ore di classici greci. Sarà stato perché a parlarne era un grande regista teatrale e cinematografico che ha spesso rivisitato i miti ellenici, il napoletano Mario Martone, sarà perchè lo si è fatto avvalendosi della visione di un bel film d'attualità, che intreccia la guerra nella ex Yugoslavia a quella nell'antica Tebe, di memoria eschilea, però stupiva il fatto che tanti ragazzi si appassionassero ad un tema così ostico. Il film in questione è "Teatro di guerra" di Martone, appunto, girato a Napoli nel 1998, che narra le vicende di una giovane compagnia teatrale che mette in scena "I 7 contro Tebe" di Eschilo durante il conflitto slavo. Un'occasione, questa, di parlare di teatro, troppo spesso disertato in Italia, e di sentire l'opinione di due autorevoli studiosi, quali Massimo Di Marco - che in quest'occasione ha presentato il suo saggio di teatro, dal titolo significativo "La tragedia greca. Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche", Carocci editore 2000 - e la professoressa Maria Grazia Bonanno, docenti di Letteratura Greca in università romane. Il preside Giorgio Maulucci non è nuovo a questo tipo di iniziative all'interno del suo liceo: ama il teatro e cerca di trasmettere questa sua passione anche ai suoi studenti. L'interrogativo circa la perennità o l'attualità della tragedia greca trova una risposta nell'essenza stessa del tragico: se questo spirito è ancora vivo, essendo parte integrante della vita e della natura umana, ad esser ormai sepolta è la forma tragica, con cui non si scrivono più libri né si girano più film. Altre forme espressive vengono ormai usate, anche per raccontare temi ritenuti tragici. Il teatro è effimero, come scriveva già Aristotele, è per questo affascinante: mentre al cinema tutto resta per sempre immutato nella pellicola, una volta e per sempre, in teatro tutto muta, ogni sera la rappresentazione cambia, pur restando inalterate le scene, i dialoghi, gli attori. Essendo tutto ricostruito con l'immaginazione, resta fenomeno -in senso etimologico- unico e irrepetibile, per mezzo del quale lo spettatore poteva raggiungere la catarsi dello spirito. Nell'antica Grecia non si facevano mai repliche. Questa l'ineguagliabile magia del teatro, ancora viva e quanto mai attuale, restando immutato l'uomo e la sua essenza, le sue passioni, anche se mutano i codici e le forme rappresentative. Questa la grande eredità culturale ed intellettuale che ci hanno lasciato i classici, soprattutto greci.

Marianna Parlapiano


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