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Speciale scuola. «Una riforma per non cambiare»
Se fare politica vuol dire, prima di tutto, conoscere i problemi della società civile, affrontarli e risolverli, dando un senso alla "questione morale", vecchia e irrisolta, della gente comune,fare politica, allora, vuol dire pure costruire una buona scuola, laboratorio dove si forma la società del domani. I politici di ieri e di oggi si sono spesso confrontati con quella che è una forte esigenza di adeguamento della scuola ad una società in continua evoluzione. La soluzione accertata è ben lungi dall'essere definitiva, rimanendo una esigenza effettiva e reale quella di apportare una riforma sostanziale al mondo dell'istruzione e della formazione scolastica ed universitaria. I governanti di oggi dovranno cercare di risolvere al più presto le questioni legate non solo all'aspetto retributivo del corpo docente, ma anche quelle relative ai programmi ormai desueti, con contenuti, forme e modalità nuove in relazione al rinnovato mondo circostante. Se è vero che i docenti italiani sono i peggio pagati d'Europa, al punto che lo stesso Presidente Ciampi ha sentito necessario esprimere parole di solidarietà nei loro confronti, è pur vero che i programmi di scuola e università devono essere necessariamente rivisti. Il processo riformatorio di quella che era, fino a qualche anno fa, la scuola così come la pensò e la volle Giovanni Gentile negli anni '20, ha avuto inizio nel 1994, quando Ministro della Pubblica Istruzione, nel Governo Berlusconi, era D'Onofrio. La sua opera fu poi portata avanti da Luigi Berlinguer e dall'attuale Ministro Tullio De Mauro, insigne italianista. Non sta a noi giudicare la bontà, pregi e difetti di questo rinnovamento: parlare, però, di questo significa parlare di quello che potrà essere la nostra società di domani, su quali fondamenta si baserà e come potranno essere gli uomini che ci succederanno. Il Convegno organizzato a Roma in Palazzo Valentini lo scorso 22 Marzo dall'Alpi - Associazione Liberi Professori Italiani - Quadri CONFEDERQUADRI, col Patrocinio delle Province di Roma, Milano, Latina, Palermo e del Comune di Sabaudia, di cui ParvapoliS è stata media partner, ha un titolo significativo: "La Scuola tra riforme e fallimenti. Riflessioni e prospettive". Uomini di cultura, di teatro, docenti universitari e di scuola superiore, presidi, politici e quanti sono, più o meno direttamente coinvolti dal problema scuola, si sono confrontati per circa quattro ore sui temi affrontati dalla riforma, esprimendo alternative a quelle ministeriali o solo pareri personali. Quello che ne è venuto fuori è stata un'avvincente no-stop in cui si ha avuto modo di riflettere su questioni importanti e di elaborare nel proprio intimo soluzioni per un aspetto così preminente nella vita di ognuno. Poiché la scuola forma uomini, che passano nelle sue aule circa 10 anni della loro vita, quelli più delicati perché si tratta dell'età dell'adolescenza, è compito del legislatore, come dell'educatore e del politico aver cura di non creare disagi all'individuo, fornendogli tutti quegli strumenti di crescita e di supporto necessari al completamento del suo processo formativo, anche sotto l'aspetto dei valori e della coscienza sociale. Non si può rimanere indifferenti dinnanzi ad una responsabilità così grande che investe in pieno il ruolo del docente come di chi fa le leggi. L'incontro di Palazzo Valentini altro non è che un modo di sensibilizzare, oltre che l'opinione pubblica e i mass-media, anche coloro i quali, in Parlamento, decideranno le sorti del nostro Paese. La sensazione che si ha, nell'ascoltare gli interventi che si sono succeduti senza interruzione, è quella che questa riforma della scuola non piaccia a nessuno: più che un rinnovamento si tratta di un vero e proprio smantellamento, anche di tutto il buono che fece il Ministro Gentile nel lontano 1923, basando l'istruzione sulla libertà di insegnamento e sul superamento del famigerato esame di maturità, soppresso del tutto soltanto nel 1999, con l'introduzione del cosiddetto esame di Stato. Il candidato che aspira al diploma deve sostenere delle prove in tutte le materie relative al suo indirizzo di studi e non più due scritti e due colloqui orali su materie a scelta, con la possibilità, da parte della commissione esaminatrice, di cambiare la seconda materia con un'altra scelta tra quelle sorteggiate ad Aprile per ogni tipo di scuola. L'intento, che partiva da esigenze effettive di rinnovamento, era quello di parificare la scuola e l'università italiana al format prevalente in Europa, in cui tests e quiz psico-attitudinali prendono il posto di temi e relazioni scritte. Un' altra macroscopica innovazione è stata quella relativa alla durata del corso di studi obbligatorio e della riforma dei cicli: si dovrà andare a scuola fino a 15 anni, e non più fino a 13, e non si avranno più tre cicli, bensì due, con l'introduzioone della sesta media, una sorta di prosecuzione ideale della scuola inferiore nel biennio obbligatorio della superiore. Per quanto riguarda le materie, si dovrà intensificare lo studio delle lingue straniere e dell'informatica, prevedendo la lingua inglese già alla Scuola Materna e un pc ogni 5 alunni, che studieranno in maniera interattiva su CD-Roms piuttosto che su pesanti libri, anche se questo validissimo strumento non sparirà del tutto. Queste le linee guida della riforma per quanto riguarda la scuola e i suoi cicli, mentre anche per l'Università si prevedono interessanti novità. Si potrà scegliere tra lauree di tre anni e quelle di quattro. Un'altra novità riguarda l'introduzione dei crediti e dei debiti formativi universitari: lo studente, in base all'esito dei suoi esami, accumulerà un punteggio: in caso di debito, dovrà frequentare dei corsi di recupero - come già avviene alle Superiori - con dei Tests finali, che se non vengono superati comportano l'esclusione dall'università. Un modo pratico e funzionale, si crede, per operare quella selezione reputata necessaria sia per l'accesso che per la prosecuzione degli studi nel mondo accademico. La filosofia che ha ispirato la riforma nei suoi diversi aspetti e nelle metodologie è senza dubbio filo-americana, nel senso che si anelerebbe emulare il modello statunitense. C'è da dire che da più parti s'è levato un grido di protesta: l'Italia non è gli USA e poi gli statunitensi sono dotati, per loro fortuna, di strutture migliori. Inoltre, il modello americano non sembra proprio degno di essere imitato. Quello che, pare, finisce per rovinare del tutto la riforma così come è stata in Italia e per l'Italia concepita, è la commistione innaturale tra il modello statunitense e quello ideologico gramsciano: l'unione di due "carcasse", come le ha acutamente definite lo scrittore Marcello Veneziani, che non può portare a nulla di buono. La nostra, alla fine, risulta essere solo una maldestra imitazione del modello americano, dotato di strumenti e supporti più adeguati, come si diceva, il tutto nell'ottica ideologia gramsciana, che distrugge il corso di storia con l'introduzione dei aree tematiche suddivise per argomenti, molti dei quali di attualità. Non che questo sia a priori un male, solo che risultano essere sbagliate, oltre ai tempi, anche le modalità. L'adeguamento alla riforma sarà comunque progressivo, la riforma sarà completata solo nel 2002: nel frattempo, molte cose saranno cambiate, dalla classe dirigente alla legislatura, che è già moritura, alle soglie delle elezioni politiche. Chi siederà sulla poltrona di Ministro della Pubblica Istruzione dovrà raccogliere una pesante eredità, quella di un "carrozzone" malandato e maldestramente riformato, magari non condividendone gli orientamenti ed essendosi intanto modificate le esigenze e i bisogni della società civile, a cui la scuola è chiamata sempre e comunque a rispondere. Un bel problema: il rischio che molti paventano, facendo della critica costruttiva trasversale, al di là dell'appartenenza partitica ed ideologica, è quello di una Scuola sempre meno educatrice e formatrice e sempre più animatrice sociale, un laboratorio altamente tecnologizzato - la tecnologia, si deve ricordare, non è sinonimo di cultura -. Questo non secondario aspetto è solo specchio di quello a cui, quotidianamente, assistiamo: si fa sempre meno cultura e più intrattenimento, dalla televisione al teatro. C'è uno svilimento ed un appiattimento culturale impressionante: tutto è pailettes, spot fugaci ed "attimino", si scrive per SMS ed e-mails - senza nulla voler togliere alla loro utilità in tema di comunicazione -, si legge pochissimo, al cinema si va e vedere "Vacanze di Natale 18.000" e filmoni d'azione americani, i teatri e i musei sono vuoti, le aule universitarie sono dei parcheggi e dei luoghi di incontro. Tutto questo clima di "imbarbarimento" generale è ancor più grave, se si pensa, solo per un attimo, alle nostre gloriose radici classiche, ormai ignorate, e al fatto che l'Italia, da sola, possiede il 75% del patrimonio artistico-culturale dell'intero pianeta. Quale potrà essere il nostro futuro non è dato saperlo; quello che ormai appare purtroppo certo, come è emerso dal Convegno voluto dall'ALPI, è che viviamo anni bui e che la gloria della cultura italiana è, ormai, solo un lontano ricordo. Non vogliamo schierarci, non vogliamo fornire soluzioni magiche e "miracolose". Vogliamo solo riflettere; del resto "Cogito ergo sum". Pare che, a scuola, lo si sia ormai dimenticato.
Marianna Parlapiano
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