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Sezze. Interviene il Circolo locale di An. Caso Di Rosa:
una riflessione sul "passato che non vuole passare". I morti non hanno
colore
«A 25 anni dai fatti del maggio del '76 certi episodi andrebbero
giudicati con maggiore serenità. Ma soprattutto con obiettività
e senza lasciarsi andare alla facile retorica. Si tratta di episodi
inquadrabili in un periodo particolare della nostra storia più
recente, ormai consegnato alle cronache come "anni di piombo".
Un periodo che appartiene al passato, ma che merita una attenta rivalutazione».
Parole, queste, che vengono dal circolo "Cittadella" di Alleanza
Nazionale. «Per anni si è indagato invano per scoprire la verità,
cercando un filo logico comune attraverso l'analisi degli episodi
stragisti, da piazza Fontana e piazza della Loggia, dall'Italicus
alla stazione di Bologna. Quel che appare certo oggi è che ogni
strage, ogni fatto criminale, aveva uno scopo preciso, ormai condiviso
da tutti: provocare lo scontro tra le opposte fazioni politiche
in modo da portare disordini nelle piazze al fine di ricompattare un
regime corrotto, che cercava in ogni modo di perpetuare se stesso.
Molti degli esperti che si sono dedicati al lavoro di ricostruzione
degli avvenimenti di quel tempo hanno parlato di "strategia della tensione"
orchestrata, guidata e suggerita da quei poteri "deviati" che poi
abbiamo visto essere sfiorati, se non condannati, nei vari processi.
Dopo 25 anni dall'episodio che ha interessato Sezze, sarebbe
stato più educativo per le giovani generazioni, trattare il fatto con
più distacco e maggior spirito democratico, inquadrandolo in un'epoca
e fornendo la verità emersa nelle aule giudiziarie. Così non è stato:
l'Amministrazione comunale ha deciso di "commemorarlo" presentando
un libro chiaramente di parte (possiamo affermarlo perché a differenza
di altri ne abbiamo letto le bozze) ed a tesi. E tale presentazione
avverrà in un istituto superiore, il Pacifici-De Magistris, con il
beneplacito della Preside, alla presenza degli studenti della città.
Come definire questa operazione se non strumentale e di indottrinamento?
Ognuno di noi in relazione all'avvenimento specifico può avere
propri personalissimi e quindi parziali giudizi. L'unico dato che dovrebbe
contare, l'unica verità - se ancora crediamo nel Diritto e quindi
nello Stato - è quella determinata nei Tribunali. La storia, innanzitutto.
Negli anni 70 ci furono morti da entrambe le parti.
Sotto il piombo della sinistra caddero oltre 30 giovani di destra.
Potremmo limitarci a ricordare, data l'occasione, Angelo Pistolesi,
che dopo essere stato con Saccucci a Sezze fu ucciso a Roma sei mesi dopo.
Per non parlare dei fratelli Mattei, arsi vivi a Primavalle.
O di Sergio Ramelli, sprangato a Milano. O di Paolo Di Nella, aggredito
mentre affiggeva manifesti. Negli anni di piombo ci sono stati morti
da entrambe le parti, non dimentichiamolo. Già nel libro di Sandro
Provvisionato ed Adalberto Baldoni (autori di opposti schieramenti)
«La notte più lunga della Repubblica», che aveva per oggetto l'esame
e l'interpretazione di quella stagione di violenza, era emerso che gli
episodi terroristici dovevano essere considerati in un'ottica
più seria ed obiettiva. Persino il presidente della Camera uscente
Luciano Violante imboccò, nel suo discorso di apertura, la strada
della riconciliazione nazionale. Apertura subito ripresa da
parlamentari di AN, dei Verdi, di Rifondazione. Anche a Sezze
dobbiamo lasciarci alle spalle "il passato che non vuole passare".
Finirla con le affermazioni fatte passare per verità. Verità che non
può essere appannaggio di una sola parte politica. A quanto pare, però,
non è questa la strada che il Sindaco di Sezze intende intraprendere.
Il processo, poi. Dobbiamo esistere che una verità processuale esiste:
è quella processuale, l'unica che conta in uno stato di diritto.
Saccucci è stato assolto pienamente in ultimo grado: non era presente
sul luogo del delitto. Quanti ne sono al corrente? Quanti conoscono
la sentenza? Perché ancora una lettura "complottista" e forzata
della vicenda? E perché proporre questa visione di parte alle giovani
generazioni di una scuola?»
Mauro Cascio
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