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Roma. L'A-400 M e la partecipazione italiana in guerra. Domenico Cambareri: «Un aereo già vecchio che rischia di aumentare i problemi»

La tempesta politica scatenata nei giorni scorsi dal ministro degli esteri, Ruggero, a seguito della sua replica alla decisione del ministro Difesa, Martino, di annullare la partecipazione italiana all’acquisto del futuro aerotrasporto europeo A-400M del consorzio Airbus, e la susseguente decisione di mediare, a mezzo del ministro dei trasporti e del suo vice, Adolfo Urso, per portare poi la decisione finale al consiglio dei ministri, sembra un temporale nel mezzo del bel tempo. In senso strettamente politico, non vi era da fare scoppiare alcun clamore, anche per quanto riguarda le procedure seguite dal ministro della Difesa. Le reazioni alle sue parole, coerenti e coraggiose prescindere da eventuali giuochi che non conosciamo e che non possono comunque incidere nel giudizio di merito, provengono da circoli interessati e da giornalisti e da platee superficialmente informati dell’oggetto della questione, se non assolutamente a digiuno. Ancora più vieto è l’aver definito l’aereo il primo velivolo “europeo”. La preparazione generica di quanti hanno affrontato e affrontano il problema, e fra di essi sicuramente non pochi politici, è data dall’apertura data da diversi quotidiani, che a pieni titoli chiamavano l’aereo in questione “il primo caccia europeo”. Rimane piena la mia perplessità e la mia meraviglia anche per la reazione di un uomo navigato qual è il ministro Ruggero, esperto di fama mondiale nell’ambito delle attività di mercato e finanziarie. In termini scarni, la partecipazione italiana all’aereo da trasporto "europeo" è marginale se non irrisoria: 16 macchine per meno del 7% dei velivoli da produrre dovrebbero essere acquistati dall’Aeronautica Militare, mentre entro un margine lievemente maggiore, sicuramente contenuto entro il 10%, dovrebbe risultare la partecipazione industriale italiana. Nulla di più. Sono solo e soltanto queste cifre la chiave di volta di ogni discussione che tiene a stare con i piedi per terra. Gli ulteriori contributi e approfondimenti, come più avanti vedremo, possono solo determinare un giudizio negativo irreversibile. In questo progetto, gli interessi industriali che predominano sono quelli francesi e tedeschi, seguiti da quelli inglesi e spagnoli. Infatti, queste nazioni si sono impegnate per acquistare rispettivamente 50, 73, 25 e 27 velivoli. Anche la Turchia partecipa con una richiesta di ben 26 aerei, più che presumibilmente per utilizzare questo portafogli di ordini per premere al fine di fare anticipare il suo ingresso nell’Unione Europea. La richiesta spagnola è invece sovradimensionata rispetto alle sue presumibili esigenze per motivi di politica industriale. Il perché delle decisioni italiane, antecedenti ad oggi di alcuni anni, di partecipare con un bassissimo e marginale profilo, oggi strumentalmente viene messo da parte. E così non può e non deve essere. Non ci si può fare schiacciare e per di più compiacere. Inoltre, questo velivolo, che avrebbe dovuto risultare quasi già costruito per entrare in servizio, secondo i progetti originari, nei prossimi cinque anni, è ancora sulla carta ed entrerà in sevizio dopo il 2014. E in tutti questi anni, le nostre esigenze come verranno soddisfatte?
L’Italia sta finendo di acquistare 22 aerotrasporti americani C130J, nuovissima e ultima versione dell’intramontabile aereo americano, ed ha posto un’opzione per altri sei macchine. Per l’impiego tattico, sostituirà i G222 con i successori, 12 aerei C27 Spartan direttamente derivati dal G222 e rimotorizzati e adeguati nell’impiantistica e nell’informatizzazione avanzata dalla Loockheed, che ha oggi titolo paritetico con l’Alenia e esclusività mondiale nella commercializzazione.
Il soddisfacimento delle esigenze del trasporto militare nazionale è così coinciso con un’alleanza industriale di alto profilo fra l’industria italiana e il gigante americano del settore, già operante. Essa deve essere distrutta dalla scelta dell’aereo franco-tedesco? E con quali ricadute industriali, finanziarie, tecnologiche? Una serie di attività che già sono sul mercato mondiale per una scelta assolutamente marginale se non insignificante che vedrà i suoi concreti piccoli frutti fra venti anni? Alla stessa industria nazionale, ciò conviene? Questa e soltanto questa è la questione politico-industriale., che non viene indicata in maniera èrecisa dai fautori della partecipazione alla costruzione dell’Airbus. Diversa è la logica ispiratrice e diverse sono le finalità franco-tedesche, giacché queste nazioni hanno in linea il trasporto tattico “Transall” degli anni ’60, costruito dalle loro industrie, che si avvia al definitivo invecchiamento della cellula e che ha quindi bisogno di un successore. L’Airbus A400M non è altro che il naturale successore di questo aereo, e non già il velivolo da trasporto strategico dell’Unione Europea.
Sì, l’A-400M avrà capacità di trasporto e di autonomia in volo globalmente doppie rispetto al C130 Hercules, esso tuttavia rappresenterà un aereo da trasporto pesante ma non strategico. Con la possibilità di trasportare sino a 37 tonnellate, esso potrà inbarcare nella stiva due piccoli elicotteri d’attacco A109 o un elicottero medio-pesante o un mezzo blindato. Ma non potrà trasportare un carro armato. Per le esigenze strategiche, è un aereo progettato a metà: è molto di più di un C130, è molto di meno di un aereo strategico, quale è il C17 statunitense, o il russo An-70. Questa e soltanto questa è la questione tecnica, e quindi politico-militare. È doveroso ricordare che la Germania sino a meno di tre anni addietro ha appoggiato la scelte dell’aereo russo, capace di trasportare oltre 45 tonnellate di carico utile, pertanto perfettamente in grado di imbarcare delle classi di carri da battaglia russi e, con adeguamenti, il nostro Ariete di 54 tonnellate, ma non è in grado di imbarcare il Leopard A2, pesante più di 60 tonnellate. L’occidentalizzazione del trasporto russo sarebbe significata e significherebbe ancora una grande impresa politica e industriale per l’Unione Europea e un reale avvicinamento di Mosca all’Occidente. Del recupero di questo progetto potrebbero essere artefice oggi l’Italia, specie dopo le parole di Berlusconi a Mosca e farebbe piacere a tanti politici e industriali europei. Per di più, il risparmio in termini di costi rispetto ad un aereo da costruire ex novo sarebbero enormi: rifare impiantistica e quanto altro di produzione occidentale su di una cellula esistente significherebbe avere già entro cinque anni pronto un aereo molto più potete di quello che si vuole avere fra quindici. Purtroppo, sono prevalse logiche politico-industriali sciovinistiche che vedono le industrie del settore e la politica francesi in testa a scelte non paganti in termini di interessi generali.
Le scelte di cui si sta discutendo, sono già state risolte nel Regno Unito da un paio d’anni. Ma le decisioni inglesi sono inattuabili in Italia per motivi di scelte di fondo. Qui le scelte politiche prioritarie sono ancora in parte come quelle per la scuola. In Italia, gli impegni internazionali di alto profilo e i susseguenti obblighi tecnico-militari e finanziari sono terror panico, come lo è il riconoscimento normativo ed economico dei professori italiani, i più sottopagati di tutta l’Europa e del sistema “primo mondo”, per di più in un Paese che detiene il record della minor percentuale di laureati. Nel Regno Unito, gli investimenti e gli stanziamenti in armi sono più che tripli rispetto all’Italia, inoltre l’industria aerospaziale inglese è il colosso europeo. Ciò spiega perché già oggi Londra schiera 25 C130J Hercules (gli stessi adottati dall’Italia), partecipa al progetto A-400M per 25 macchine, ha in linea 4 Boeing C-17, il colosso americano in grado di trasportare i più pesanti carri da battaglia. Il dispositivo militare inglese cioè può e potrà garantire lo schieramento di più parchi velivoli, laddove invece l’Italia ha penurie di risorse finanziarie, di uomini e di tutto, e già dagli scorsi anni il sì italiano al futuro velivolo franco-tedesco-“europeo” era subordinato alla creazione di un pool europeo per la gestione, l’utilizzo e la manutenzione delle macchine. In fin dei conti, l’Italia, la Francia, la Germania hanno già oggi bisogno di una macchina della classe del C-17 o dell’Antonov An70, e qui divampa una polemica infondata. Cioè, noi e gli altri maggiori partner europei già oggi necessitiamo di aerei da trasporto “outsize” per quanto di pochi esemplari, al fine di adempiere agli obblighi e alle esigenze che ci coinvolgono in macro-aree che comprendono buona parte dell’Asia e dell’Africa.
L’impegno italiano nell’avventura dell’Airbus può essere invece utilizzato per rafforzare la partecipazione negli investimenti e nella produzione di sistemi in assoluto avanzati a livello mondiale per i prossimi decenni. Questo è il caso del MEADS, il sistema di difesa antimissile e antiaereo a largo raggio per il nuovo secolo, che vede impegnati gli USA, la Germania e l’Italia con il 19%, o la possibilità delle ricadute industriali nel caso di acquisto o affitto, del gigantesco Boieng C-17, o dell’aumento della partecipazione al rivoluzionario aereo V/Stol, che nel prossimo decennio sostituirà gli Harrier, a cui USA e Gran Bretagna hanno associato molti paesi, fra cui l’Italia. Altri progetti realizzati o da realizzare che richiederebbero un aumento d’investimento e produttivo dell’Italia sono:
- quello del vero caccia europeo l’Eurofighter Typhoon , da cui la Francia si ritirò per realizzare in proprio il monoreattore Raphal per un investimento che ha già superato la gigantesca cifra di 100.000 miliardi di lire da parte di Parigi (così agì nel caso del primo predecessore europeo, il cacciabombardiere Tornado), con una partecipazione italiana al 19%, e una cifra di poco inferiore da parte di Inghilterra, Germania, Italia e Spagna; dell’Eurofighter si parla sempre di una versione navale;
- quello per l’acquisto delle future grandi aerocisterna e, soprattutto, degli aerei-radar e degli pattugliatori antisom che dovranno sostituire gli Atlantic (già una cifra colossale di 4.000 miliardi è stata destinata agli studi e alla preacquisizione del futuro sostituto). In questo settore, l’Italia potrebbe rilanciare molteplici forme di alleanze e di inserimento finanziario e industriale a ben più alti livelli, proprio con la Francia e la Germania, nazioni interessate più di ogni altro all’A400M.
D’altronde, la storia politica e industriale recente insegna che con i francesi bisogna saper trattare, e spesso a dentri sterri, poiché essi sanno ben piegare gli “interessi europei” alla precipuità dei loro interessi. La storia dell’acquisto degli Atlantic agli italiani insegnò tanto, ma anche le odierne, ultimissime attività di alleanza paritetica fra Italia e Francia insegnano tanto, su progetti avanzatissimi ed importantissimi per i due Paesi, quali lo sviluppo dei sistemi e dei missili Empar e Aster, dei conduttori di squadra Orizzonte, dei siluri leggeri, dell’elicottero medio NH90. Egualmente, anche con la Germania, nostro secondo partner dopo la Francia, abbiamo in essere progetti, investimenti e coproduzioni ad altissimo livello e con tutt’altro rapporto. Ma non ci si può obbligare ad entrare in un pool solo per fare contenti interessi che non sono affatto i nostri ed esigenze operative che non sono affatto nostre. Per delle percentuali irrisorie che ci causeranno solo problemi, oneri e spese operative già oggi immaginabili. Cui prodest?

Domenico Cambareri


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