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Latina. Gli incontri culturali di ParvapoliS. Riccardo Pedrizzi su Edmund Burke: «La sua è una vera e propria religione "delle libertà"...»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Riccardo Pedrizzi, assistente universitario, poi dirigente di un istituto di credito, infine senatore della Repubblica. Una carriera professionale che non lo ha mai distratto da una passione "culturale" sempre viva, accesa. Già negli anni 60 ha contribuito alla ricerca della cultura tradizionale e conservatrice. Ha curato uno studio su Joseph de Maistre, «Lo Stato della Restaurazione» ed ha pubblicato libri, tra i quali «Protagonisti della controrivoluzione» e «La dottrina sociale cattolica: sfida per il terzo millennio».
«Edmund Burke, alle radici del conservatorismo» è l'ultimo saggio di Pedrizzi. Burke è uno storico inglese della metà del 1700, conosciuto come l'ideologo e il capostipide del conservatorismo. E conservatore si definisce anche il senatore Pedrizzi, in contrapposizione con tutte le tendenze innovatrici e riformatrici incarnate, nel nostro Paese, dalla Sinistra. Pedrizzi proprio a Burke ha voluto dedicare un libro di studi e riflessioni. Il conservatorismo è un sentimento, uno stile, un modo di essere e di rapportarsi alla reltà; da Burke a Kierke, hanno tutti lo stesso leit-motiv, un comune denominatore: la stessa visione spirituale del mondo e della vita. Le costanti del pensiero conservatorista sono il diritto naturale, la famiglia, l'autorità e la libertà, il consolidamento dei corpi intermedi, il rifiuto del populismo, della demagogia, della mistica della folla, dell'irrealismo. Conservatore non è sinonimo di restauratore, ma è solo chi non vuole modificare lo stato delle cose, accettandolo. Questo lo induce alla difesa della sacralità elementare della vita, come alla preservazione del bene culturale, facendo vivere la tradizione e il Paese che ne è scrigno, senza ammodernarlo. Lo stesso termine, oltre che dal punto di vista concettuale, ha avuto vita difficile, essendo usato spesso anche come insulto. La mancanza di una profondità del sentimento conservatore indusse Prezzolini a scrivere, nel 1971, il suo manifesto. Non c'era, all'epoca, l'apertura verso la tradizione che coniuga la memoria verso il domani, disegnando i destini del suo elettorato. Se questo viene, in qualche modo, a mancare, il conservatorismo allora è solo un conato reazionaro, senza prognosi del presente e diagnosi dell'avvenire.
Un conservatorismo per tutti e per nessuno? La lezione di Burke è "aperta". Scrisse Gerd-Klaus Kaltenbrunner una ventina d'anni fa, chiudendo la prefazione di La Sfida dei Conservatori: «Il conservatore ha tenuto fede alla sua vocazione se non intende ciò che solo egli può realizzare come una mera conservazione dei fragili resti di ordinamenti passati, ma come un originale contributo a un nuovo ordine che non solo non è distrutto, ma connesso con la vita. Pronto a conservare fedelmente ciò che la storia ha tramandato e a tener testa senza panico alle novità, egli può essere visto come il vero rivoluzionario d'oggi, a differenza dei sedicenti tali. La tetraggine che si rimprovera al conservatore non è presente nella sua natura, poiché questa è portata a interpretare le più gravi distruzioni della storia come ritmi stagionali di un più grande ciclo di rinascite e di rinnovamenti; e a prendere dal passato non la cenere ma il fuoco».

Marco Battistini, Mauro Cascio

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