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Latina. Articolo 18, la resa. I Radicali Italiani: «Una lenta e poco gloriosa ritirata dal campo di battaglia. Proni alla piazza e al Sindacato»

«La riforma dell’articolo 18 proposta dal Governo era una riforma insufficiente, probabilmente inefficace se non controproducente. Ma aveva il merito di affrontare un tabù per buona parte della politica italiana, quello della assoluta rigidità del mercato del lavoro per ciò che concerne i licenziamenti individuali». Questa la posizione di Radicali Italiani sull'argomento principe di questi giorni.
«Non sono bastati i pareri dei più autorevoli economisti, italiani e no, i richiami dei Nobel, gli ammonimenti della Commissione e della Banca Centrale Europea: il Governo sembra avviato ad una lenta ma inesorabile e poco gloriosa ritirata dal campo di battaglia. A che servono un risultato elettorale inequivocabile e una maggioranza parlamentare schiacciante, se neppure durante i primi dieci mesi di "luna di miele" si trova la forza di imporre le riforme necessarie? Se non ora, quando e da parte di quale governo sarà possibile sfidare apertamente le forze schierate per la conservazione dello status quo? Cofferati continua a fare benissimo il suo mestiere, quello della difesa corporativa degli interessi degli iscritti alla CGIL, per la stragrande maggioranza pensionati, pensionandi e tutelati dall’art.18. Al Governo e alla maggioranza spetterebbe di difendere l’interesse di tutti coloro che, invece, affidano le proprie chance ad una riforma liberale dell’economia, siano essi imprenditori, disoccupati o lavoratori in nero. Non si può, nell’Italia di oggi, non scegliere: o si sta da una parte o dall’altra. Quella delle riforme graduali e consensuali è un’illusione pericolosa di cui si rischiano di vedere i guasti quando sarà troppo tardi: se si pensa che l’interesse generale sia quello di avere riforme liberali e accelerate del mercato del lavoro e del welfare non vi è ragion politica che possa giustificare la ritirata cui il Governo si sta preparando. Nel referendum tenutosi nella primavera di due anni fa per l’abolizione dell’art.18, che vide la partecipazione solamente di un terzo dell’elettorato, prevalsero i no. Ma non dimentichiamoci che su quindici milioni di votanti più di cinque votarono sì, nonostante una campagna demonizzatrice del sindacato e della sinistra e l’astensionismo "militante" di tutte le forze politiche oggi maggioritarie nel paese e nel parlamento. Domenica scorsa i cittadini svizzeri hanno bocciato con una sonora maggioranza del 75% una proposta sindacale per l’introduzione obbligatoria della settimana lavorativa di 36 ore a parità di salario, un voto saggio che ricorda da vicino quello degli italiani sulla scala mobile. Davvero il Presidente del Consiglio pensa che le centinaia di migliaia o il milione di persone che minacciano di scendere in piazza nello sciopero generale rappresentino la maggioranza degli italiani? Davvero ritiene che sarebbe impossibile convincere che sostituire l’illusoria tutela del reintegro nel posto di lavoro con un adeguato indennizzo monetario, nel pieno rispetto della Carta dei diritti di Nizza, rappresenti una riforma di equità tra i lavoratori e di lungimiranza per ciò che concerne gli obiettivi di crescita occupazionale? Tra poche settimane il Governo dovrà presentare il DPEF e quindi indicare le linee strategiche per la politica economica del 2003. Dopo lo stop di questi giorni è certo che nulla verrà scritto su articolo 18 e pensioni di anzianità. Nel 2004 ci saranno le elezioni europee e subito si dirà che in un anno elettorale non si possono fare riforme impopolari. Nel 2005 sarà il momento delle elezioni regionali. La legislatura, dunque, ha tempi politici molto più brevi ed incalzanti di quanto si possa credere. Quello di oggi non sarebbe un rinvio, ma una rinuncia definitiva».
«È facile capire chi si appresta a guadagnare dalla vittoria del sindacato: i cinquantenni prossimi alla pensione e i lavoratori più garantiti. È altrettanto chiaro chi pagherà, una volta di più: saranno soprattutto i giovani, sulle spalle dei quali si scaricherà, in un tempo non lontano, tutto e tutto in una volta l’onere delle riforme di flessibilità e di riequilibrio della previdenza che politici poco coraggiosi si apprestano a rinviare».

Marco Battistini


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