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Latina. Facoltà di Medicina. Luigi Deriu: «La prima volta che ne ho sentito parlare era il 1975. Le cliniche? Meglio a Fondi ed a Terracina»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Luigi Deriu, primario della clinica San Marco e candidato consigliere nelle liste dell'Udc. «Il concorso per un posto di primario di ematologia clinica presso l'Ospedale Civile di Latina si svolse presso l'Università di Bologna, o meglio presso l'istituto di ematologia della Università di Bologna, allora ubicato presso il pollaio dell'ospedale S.Orsola di detta città. Qualcuno potrebbe obiettare che erano altri tempi ed io potrei essere d'accordo. Quando per la prima volta presi servizio, mi fu detto che c'era l'idea di portare l'Università a Latina, come sezione staccata dell'Università di Roma «La Sapienza». Era il 1975. Mi si dissi ancora che a tale scopo era stata creata una commissione di studio per approfondire l'argomento. Ma siccome io provenivo dalla suddetta università non fui chiamato a farne parte, e come me un altro collega che proveniva anche lui dalla stessa università romana. Ovviamente allora pensai che ero poco conosciuto, essendo appena arrivato per essere chiamato a studiare il problema. In fondo, l'essere entrato in detta università nel 1951 ed avervi conseguito tre libere docenze, in semeiotica medica, in patologia speciale medica e metodologia clinica ed alla fine in ematologia clinica, uno dei giovani più titolati d'Italia (nessuno nella provincia pontina aveva altrettanti titoli) e in tutta la regione Lazio solo altri due colleghi avevano raggiunto analoga classificazione accademica, secondo la visione allora imperante della cultura, non poteva rappresentare alcun titolo di merito per l'argomento università. E così è stato. Sono passati trent'anni ed il problema si sta ripresentando in questi giorni con gli stessi connotati di allora, che fondamentalmente si riassumono nella più abissale ignoranza del ciò di cui si parla e nel più profondo ossequio alla nemmeno tanta mascherata ipocrisia del "potere per il potere". Potere per l'arbitrio di determinare se Latina debba o non debba avere l'Università, potere per arbitrio politico di stabilire se e dove debba essere sistemata la sua sede, se e dove debbano essere sistemati gli istituti di studio. L'università ancora non esiste e come dal desio chiamate, vaghe sirene dell'orsa si sono messe a vantare Latina come Polo scientifico del futuro. Signori, come avrebbe detto Totò, siamo seri e soprattutto comportiamoci da persone serie. Che da sempre l'Università Italiana abbia sviluppato una ricerca scientifica da nazione terzomondista non lo dice il sottoscritto, ma la cultura europea. Non a casa la laurea italiana in medicina (tranne rare eccezioni) non è riconosciuta valida in Europa. Mi sento di dire facciamo le persone serie e parliamo seriamente. Spero vivamente, per il buon gusto dell'intelligenza e del sapere, che non ci sia qualcuno che veramente crede a quelle stramberie sulla ricerca e sui poli di ricerca. Che se poi si dice pane al pane, che il mondo universitario italiano deve, così come è stato fatto per trent'anni, appecoronarsi verso la classe politica che ha vinto le elezioni, questo è giusto ma lo si faccia con classe ed eleganza e non per piaggeria tout court. In quanti istituti sono state tolte le targhe che testimoniavano le elargizioni dei vecchi partiti della sinistra trionfante, in nome della ricerca scientifica, dazio misero al cospetto della scienza che per definizione dovrebbe stare fuori dalle miserie umane?»
«Invece, ancora oggi a distanza di tranta anni siamo l'uno contro l'altro armati, incapaci di trovare il filo logico di una matassa che richiede solo buon senso, il saper guardare al futuro, non il futuro personale ma al futuro della società che ha eletto i nostri rappresentanti o che si appresta a farlo e che è l'unica depositaria di ciò che il bene fondamentale di tutti noi, la nostra coscienza. Si sono individuate le strutture, il vecchio mattatoio, sono stati stanziati i fondi, sono stati spesi dei soldi della comunità; il tutto è quasi pronto e solo adesso ci si pone la fatidica domanda: Latina deve avere l'università? Come dovrebbe essere questa facoltà di medicina? Certo che la seconda città del Lazio, costruita in posizione ideale tra le colline ed il mare, dotata di sistema strutturale viario di accettabile ampiezza certo che ha il diritto ad avere una struttura decentrata della università. Il tutto però non con lo spirito dei vecchi colonizzatori dell'agro pontino. Tanta acqua è passata sotto i canali di bonifica e se è vero che Latina ha da guadagnare nella ubicazione dell'Università sarebbe ora si sappia che anche l'Università ha da guadagnare in questo matrimonio, poiché esso rappresenta uno dei pochi sfoghi possibili per una struttura efantisiaca, pletorica, il cui malfunzionamento riempie le cronache degli ultimi anni ed è alla base del decentramento in corso. Allora ci si metta di fronte ad un tavolo e si cominci a discutere, non di cose astratte o del sesso degli angeli, non di quanti posti spettano all'istituto x e quanti all'istituto y, né se sia giusto sistemare il figlio di tizio o quello di caio, ma senza badare al colore, senza ossequiare tizio perché poi il padre potrebbe essere utile per ottenere un domani finanziamenti per l'ampliamento dell'istituto o per l'acquisto di attrezzature scientifiche. Si faccia una cosa alla volta».
«Come dovrebbe essere l'Università di Medicina di Latina? Credo che la risposta più logica dovrebbe essere, come piacerebbe che fosse a coloro che debbono frequentarla e chi se non gli studenti hanno il dovere di indicare i parametri, le misure, i valori che l'Università fatta per loro, frequentata da loro dovrebbe avere? Invece si è assistito a scelte inique che hanno sconfinato nel paradossale e nel ridicolo. Ho letto di facoltà smembrata, con pezzi di essa sparsi per tutto il territorio della provincia. Ma davvero vogliamo una università di questo tipo per i futuri medici della facoltà di medicina di Latina? Oh tempora o mores! L'Università è addirittura nata perché alcuni studenti della città francese di Mont-Pellier hanno chiesto ad alcuni cosiddetti medici di allora di venire ad insegnare le materie della loro professione. Le lezioni avvenivano su panche di legno e gli insegnanti venivano pagati dagli stessi studenti. I popoli di lingua anglosassone, per evitare la dispersione degli studenti, hanno creato a suo tempo i "campus universitari" al cui interno è concentrato tutto, persino gli spazi per il cricket ed il baseball. Quindi, che tipo di università si vuol creare? Una struttura siffatta, o meglio così ipotizzata, non invita certo a studiare, con i vari istituti sparsi in vari posti, struttura che diverrebbe una fabbrica di fuoricorso e di delusi. Oppure una struttura compatta dove lo studio rappresenta non solo l'obbligo, ma la ovvia risposta per il giovane che voglia trovare in una società tecnologicamente avanzata la sua naturale collocazione futura. Questa situazione non riguarda solo i partiti politici per le scelte che sono chiamati a fare, ma tutti i cittadini. Latina è una città giovane che adesso si trova ad affrontare problemi che altre città hanno dovuto risolvere molti anni orsono. Occorre quindi sedersi attorno a un tavolo, ognuno investito del proprio ruolo e soprattutto delle proprie responsabilità e valutare serenamente il grande lavoro che è dinnanzi a ciascuno».
«Mi permetto di avanzare alcuni suggerimenti come quello della sistemazione della sede della Facoltà di Medicina a Latina e la sistemazione delle specializzazioni nelle altre città designate. Il numero degli studenti costretti a "spostarsi" verrebbe così drasticamente a ridursi e si darebbe nuovo impulso agli ospedali suddetti che potrebbero diventare sedi di specialità tuttora mancanti in tutta la provincia pontina. Penso alla scuola di dermatologia, alla scuola di medicina iperbarica, alla scuola di neurochirurgia, a quella di cardiochirurgia, ciascuna delle quali sarebbe in grado, da sola, di valorizzare qualunque ospedale e qualunque provincia italiana ed europea. In questo quadro di "sanità globale" dovrebbe essere intesa la nuova UP, almeno come principio ispiratore alla sua creazione. Il pubblico ed il privato non sono ai punti opposti del "pianeta sanità" ma sono parti complementari di uno stesso soggetto che poi è lo stesso che è all'origine di tutta l'ars sanitatis e cioè il malato. È lui infatti l'oggetto delle cure da qualunque parte esse vengano purché siano valide e con i mezzi al passo con i tempi. La medicina è infatti una realtà in perpetuo movimento e divenire, guai a commettere l'errore imperdonabile di considerarla immobile e ferma. È per avere fatto questo errore madornale che ancora la nazione sta pagando in termini reali le arretratezze di alcune regioni e provincie. Che tipo di sanità si può offrire ai giovani, se prima ancora di cominciare li rendiamo complici involontari di scelte che con la sanità non c'entrano nulla? Quali prospettive possiamo offrire ai giovani in un domani ormai dietro l'angolo? Quello di un medico-impiegato o meglio di un impiegato-medico vincolato nella possibilità di usare farmaci divisi in classi, con limiti rigidi, controlli incrociati di varie autorità, tutti però tendenti a colpire l'errore del sanitario, il comparaggio o addirittura il dolo. Tutto ciò ha portato al connubio del sistema ed al connubio del sistema nel sistema ed al collasso dello stesso. A molte di queste storture in realtà negli ultimi tempo si è cercato di porre rimedio restituendo al medico la propria dignità. La medicina piaccia o non piaccia è arte ed non può essere costretta in elenchi né in assurdi leggi che ne sviliscano l'intelligenza. Il medico dovrà sempre conservare ed accrescere le tre grandi proprietà che gli vengono insegnate proprio nei banchi dell'università: la facoltà di "diagnosticare", la facoltà di pronosticare, la facoltà di curare. Tutte queste proprietà rendono il medico completo come uomo e come tale può anche sbagliare, essere perseguibile, ma non perseguitato».

Elisabetta Rizzo

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