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Latina. Elezioni. Salvatore Pepe (Rinascita Dc): «Vogliamo costruire la città dell'uomo a
misura d'uomo, per sviluppare una filosofia di governo»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Salvatore Pepe, candidato a Sindaco per Rinascita
Dc. «I partiti in campagna elettorale sanno solo promettere. Tutti vorrebbero che Latina
fosse una città dorata, settentrionale, anglosassone. Tutte cose belle, per carità.
Un ammnistratore serio però più che promettere deve lavorare, essere al servizio dei
cittadini, promuovere una politica della trasparenza. Le carenze di Latina sono tante,
troppe. Io ascolto le persone semplici e tutte hanno qualcosa da lamentare.
Si sentono trascurate, da tutti i punti di vista. La scelta di andare da soli
e sfidare, oltre gli outsider (Mancini, Vitali, Mantovani, Mussolini, Tilgher),
anche i candidati dei due poli, Zaccheo (Cdl) e Moscardelli (Ulivo) è una scelta
maturarata, seria, consapevole. Non c'è bisogno di avere grossi nomi per governare
bene una città. Noi siamo per la semplicità. E non abbiamo interessi personali».
«L'emergere di nuove esigenze nei rapporti tra i cittadini e le istituzioni e nell'ambito
più ristretto, nei comportamenti tra i membri della famiglia» - scrive Pepe nel programma
elettorale - lascia pensare ad un impulso continuo e vario di dinamiche di rinnovamento.
È indispensabile, pertanto, la fiducia verso coloro che formano gli organismi rappresentativi
ed è necessario che le scelte dei cittadini siano ponderate ed oculate; essi perciò devono
poter vivere il complesso sistema della politica e a questa devono poter essere recuperati
per ridurre quel distacco che sempre più si dilata tra la società che chiede e dà, e il
potere che dispone e vuole.
La radicale autenticità dei politici è vista spesso con spirito critico dall'opinione pubblica
ed in particolare dai giovani, i quali vivono una condizione di distanza e di estraneità
rispetto all'impegno politico. I partiti oggi soffrono per la carenza di militanza giovanile
nella previsione di ricambi preparati e seriamente motivati dei gruppi dirigenti.
Le posizioni esasperatamente contrapposte dei Partiti, la proliferazione delle clientele,
una corruzione talora emergente che si teme diffusa, gli errori e le insufficienze di una
gestione pubblica sempre più complessa e difficile, la labile risposta a domande elementari,
a bisogni primari rischiano accentuare un'atmosfera di sfiducia e di disimpegno.
Ma il disinteresse per la vita della comunità non si può giustificare in uno Stato democratico
che trae la sua legittimazione e la sua classe dirigente dalla volontà e dalla decisione dei
cittadini.
La forza e la salvezza della democrazia stanno soprattutto nella partecipazione di ognuno alla
vita del Paese, nell'interessamento alla gestione del potere.
Se partecipazione ed interessamento mancano, se la gente si isola in se stessa, si allunga
ancor più il distacco tra le Amministrazioni ed i cittadini, tra chi impartisce le
disposizioni e chi passivamente le riceve.
La partecipazione svolge, altresì, il ruolo di indicatore della democraticità e della vitalità
del sistema politico: da un lato, esprimendo il grado di interesse e la reale capacità di
contare dei cittadini, misura la democraticità del sistema politico di uno Stato; dall'altro,
contrapponendo alle operazioni dei politici professionali la facoltà di critica per
sindacarne le ispirazioni, apre nuovi orientamenti all'azione e delinea nuovi possibili
modelli di cultura politica.
Questa non può rappresentare la panacea di tutti i bisogni umani: può solo costruire le
condizioni favorevoli, materiali e spirituali, acciocché gli uomini possano realizzare le
proprie aspirazioni.
In tal senso rappresenta lo strumento effettivo per "costruire la città dell'uomo a misura
d'uomo" per sviluppare l'arte o filosofia di governo e concentra le istanze e le attese
dei cittadini, rendendosi artefice di iniziative valide a vantaggio di tutti, in special
modo di chi è meno garantito».
Marco Battistini
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